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OTRANTO, un po' di storia

Ribadire che Otranto e' la città più orientale d'Italia può risultare - per quanto geograficamente ineccepibile - un luogo comune. Ma è indubbio che questa speciale realtà topografica ha condizionato da sempre, nel bene e nel male, la storia e il ruolo di questo centro. Le recenti prospezioni archeologiche hanno infatti rilevato la "presenza di ceramica ad impasto associata a vasi micenei" in un periodo compreso tra l'età del Bronzo recente e quella del Bronzo finale (fine sec. XIII-XI sec. a.C.), quando "le alture calcaree di Otranto erano occupate da gruppi di capanne costruite con strutture di pali impiantati nella roccia e rivestimento di rami e frasche".

Dei secoli bui,  però, non abbiamo informazioni soddisfacenti. Rilevante e' tuttavia la notizia che nel 595 il papa incaricava Pietro, vescovo di Otranto, della visitatio e della cura delle chiese di Brindisi, Lecce e Gallipoli, prive a quella data dei loro titolari. Alla fine del VI sec. Otranto era già politicamente nell'orbita di Bisanzio, mentre il Salento cessava di essere il teatro della guerra gotobizantina. Il ribaltamento delle gerarchie viarie a livello territoriale e' il sintomo più immediato del peso sempre maggiore attribuito ad Otranto: la viabilità principale seguiva, ormai, l'asse Otranto-Lecce-Oria-Taranto escludendo completamente Brindisi destinata ad un rapido decadimento. Questo nuovo asse, che riprende un antichissimo percorso messapico, ha "lo stesso andamento del cosiddetto Limitone dei Greci, ossia di quella strada di arroccamento che rappresentò anche una linea difensiva della Terra d'Otranto, molto arretrata di fronte alle fortunate incursioni dei Longobardi, ma di grande importanza strategica per salvaguardare il collegamento tra il caposaldo di Otranto e il restante tema di Calabria" (G. Uggeri). Questa funzione di caposaldo durante la nuova dominazione bizantina evito' ad Otranto l'abbandono che si verifico' per altri centri e zone del Mezzogiorno. La tradizione, per altro in una certa misura credibile, vuole che nei secoli di questa dominazione la città sia stata dotata di una eccezionale cinta fortificata ritmata, com'era nel costume costruttivo dell'epoca, da ben cento torri quadrangolari, pressappoco secondo lo schema della "citta' dalle cento porte" proposto dal Manggiulli - lo storico più informato di Otranto - alla fine del secolo passato. Ma il massimo prestigio sarà raggiunto dalla città nel periodo della seconda dominazione bizantina (dal IX sec.) quando la sua fedeltà agli imperatori e ai patriarchi di Costantinopoli era fuori discussione . Alla fine dell'XI sec. sorse, lontano dall'abitato, l' abazia di S. Nicola di Casole, il "centro del monachesimo greco o, meglio italo-greco in Puglia", una delle realtà culturali più importanti del medioevo cristiano, divenuto tra il 1347 e il 1438 il più ricco monastero dell'Italia meridionale. La sua ricchissima biblioteca dalla quale uscirono numerosi codici che attestano i profondi legami con l'Oriente, contribuì alla riscoperta e alla conservazione di molti testi dell'antichità classica; nelle sue mure nacque una letteratura italo-bizantina, magistralmente studiata da M. Gigante, della quale furono esponenti illustri Nettario-Nicola di Casole abate del monastero dal 1219 al 1235, il notaio imperiale Giovanni Grasso e il figlio Nicola. Nel frattempo la situazione politica era mutata; già alla meta' dell'XI sec. i normanni e i loro alleati avevano conquistato buona parte della Puglia e nel 1042 solo Taranto, Brindisi e Otranto rimanevano fedeli ai bizantini. L'ultima città a cadere nelle mani dei nuovi dominatori fu, nel 1064, proprio Otranto. I bizantini, consci dell'importanza strategica del loro antico possedimento cercarono più volte di riprendersi Otranto, ma con la caduta definitiva di Brindisi (1071) ebbe termine definitivamente il dominio bizantino sull'Italia meridionale. I normanni non umiliarono certamente la dignità culturale e strategica raggiunta da Otranto; ne', durante il loro dominio e in quello della successiva stirpe sveva, il rito e con questo la cultura italo-greca ebbero soluzioni di continuità. Ancora una volta la posizione geografica determina i destini della città: furono infatti ridefinite le strutture difensive (mura e castello) che probabilmente racchiudevano anche l'area in corrispondenza di via delle Torri; nel 1088 si consacra la grandiosa cattedrale che dopo appena un secolo sarà provvista del mosaico pavimentale di Pantaleone, sintesi geniale della tradizione culturale occidentale e orientale e, pertanto, il "prodotto artistico" più significativo espresso dalla millenaria storia della città. Negli anni della dominazione normanna il porto di Otranto ospito' più volte i cavalieri cristiani delle Crociate. Per la quinta Crociata nel 1227 in città arrivo' lo sfarzoso corteo di Federico II, segnando un periodo estremamente movimentato nella storia di Otranto che si colloca direttamente all'interno della lotta tra il papato e lo svevo: nel 1256 il papa invia agli otrantini una lettera nella quale, tra l'altro, autorizza la costruzione e la riparazione di mura e torri nonché l'armamento del porto. Dal testo dell'importante documento si evince come la città avesse il diretto dominio su un vasto territorio (i laghi Alimini erano già stati concessi alla Mensa vescovile) composto di casali e feudi che, come la città, erano soggetti unicamente alla Chiesa romana. Come nel successivo periodo angioino, i continui restauri ai quali era soggetto il castello regio, l'importanza attribuita al porto dove operava un discreto arsenale, testimoniano il prestigio sempre alto attribuito ad Otranto. Non era un caso che qui stanziava una numerosa comunità ebrea (a meta' del XII sec. si parla addirittura di cinquecento unità) che partecipava attivamente all'intensa attività mercantile della città .


L'eccidio di Otranto

Nel 1447, siamo in piena età aragonese, Otranto contava 253 fuochi, oltre 1200 anime, segnalandosi come una tra le città più popolose di tutta Terra d'Otranto, ove si pensi che, nello stesso anno, Gallipoli aveva 160 fuochi e Ugento 119 e che soltanto Galatina, Nardò e Lecce avevano contingenti demografici superiori. L'occupazione turca del 1480 trovo' una città in piena evoluzione demografica e quindi economica, un centro culturale ancora floridissimo grazie anche all'ininterrotto apporto del monastero di Casole. Quel tragico evento seguiva l'enorme impressione che la caduta di Costantinopoli (1453) aveva suscitato in tutto l'Occidente conscio e atterrito dai progetti espansionistici di Maometto II (1451-81). Il momento era il migliore: gli Stati italiani erano incapaci di costituire una forza militarmente e politicamente significativa da contrapporre alle minacce dell'Islam; nel 1479 dopo una lunga guerra tra il turco e Venezia e' firmata la pace determinando la neutralità della Serenissima che comunque aveva motivi di ostilità nei confronti di Ferdinando re di Napoli (1458-94). Il turco sapeva inoltre che le armate aragonesi e quelle dello Stato pontificio erano impegnate dal 1478 in un'aspra guerra contro Firenze. In questo quadro generale si colloca il proposito turco di occupare un lembo strategicamente significativo del Salento come testa di ponte per insidiare le potenze cristiane: il 28 luglio 1480 appare all'orizzonte otrantino un'enorme flotta composta di 150 imbarcazioni per una forza complessiva di circa 18.000 uomini (Otranto in quell'anno non contava più di 6.000 abitanti); lo sbarco avvenne nei pressi dei laghi Alimini e il giorno successivo, il 29,i turchi avevano già occupato il borgo e fatto razzie nei casali vicini. La città, forse mal guarnita e difesa, non poteva resistere a lungo all'impeto formidabile dell'artiglieria turca. Rifiutata la resa gli otrantini opposero comunque un'eroica resistenza ma lo squilibrio delle forze si palesò in tutta la sua gravità l'11 agosto quando dopo aver distrutto l'apparato difensivo della città i turchi vi entrarono dalla parte del castello. Incredibili furono le crudeltà commesse dagli assalitori contro gli otrantini ormai inermi; con una proditoria irruzione nella Cattedrale lo stesso giorno fu barbaramente soppresso l'anziano arcivescovo Stefano Agricoli che incitava i superstiti alla fede e alla morte. Il giorno dopo, 12 agosto, circa 800 otrantini che avevano negato la conversione alla religione dell'Islam furono orrendamente massacrati sul colle della Minerva.

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L'eccidio di Otranto

I turchi erano ormai padroni di Otranto: da questa base scorrazzavano indisturbati per tutto il Salento seminando terrore e morte fino al Gargano. Nel frattempo la reazione aragonese stentava a formalizzarsi anche perché Venezia persisteva nella sua neutralità interessata e gli altri Stati italiani tergiversavano, dando ai turchi tutto il tempo di fortificare Otranto secondo concetti difensivi avanzati. L'inverno del 1481 passava intanto nelle vane promesse di aiuti mentre i turchi ricevevano via mare rinforzi; alcune scaramucce nell'entroterra e sulle acque non sembravano decidere le sorti dell'occupazione: i turchi rimanevano saldamente padroni della città nonostante gli attacchi che si facevano sempre più frequenti provocando crudeli ritorsioni nei confronti degli inermi cittadini che nel frattempo non erano stati massacrati o fatti schiavi. Con l'arrivo della buona stagione l'aragonese accelerò le operazioni di assedio grazie agli aiuti ottenuti dagli Stati italiani che finalmente si resero conto del pericolo per la loro sopravvivenza rappresentato dall'occupazione turca. Finalmente il primo maggio si mise il campo presso Otranto con imponenti apparati difensivi studiati da Ciro Ciri "maestro ingegnere" del duca di Urbino, e dal francese Pietro d'Orfeo. I turchi si sentono per la prima volta assediati da terra e dal mare dove continua ad ingrossarsi la flotta "cristiana"; nello stesso periodo sono privati della loro esperta e sanguinaria guida, Achmet, richiamato in patria per la morte di Maometto II occorsa il 3 maggio, avvenimento che fu decisivo per le sorti dell'assedio. Privi di rinforzi e continuamente tallonati subirono il 23 agosto un violentissimo attacco che provocò nelle due parti notevoli perdite umane costringendoli, dopo una disperata resistenza, alla resa finché il 10 settembre 1481 restituirono la città ormai ridotta ad un cumulo di macerie e della quale non erano sopravvissuti che 300 cristiani.

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