Attività EME in 50 Mhz
La banda dei sei metri è da molti ritenuta difficile
per il dx ionosferico a causa della sua imprevedibilità, delle repentine ma
erratiche aperture propagative, della presenza non trascurabile di rumore
atmosferico. Si tratta, in definitiva, di una allocazione di frequenza a
cavallo tra le HF e le VHF e se l’attività EME è da considerarsi ardua già per
la banda dei due metri, in 50 Mhz il dx via Luna rappresenta una vera sfida.
Le difficoltà maggiori sono dovute alla lunghezza
d’onda che costringe ad erigere sistemi di antenne di dimensioni non
trascurabili, al rumore atmosferico sempre presente che inficia la ricezione
dei debolissimi segnali di ritorno dal nostro satellite naturale, alle
condizioni di propagazione terrestre che assorbono o sparpagliano il segnale
impedendo allo stesso di uscire dall’atmosfera e di raggiungere la superficie
lunare con la potenza necessaria per essere riflesso. In 6 metri, infatti, la
propagazione terrestre, in tutte le sue varie manifestazioni, è assai più
frequente di quanto non sia nelle bande superiori, dove l’”E Sporadico” è
sporadico veramente e dove la propagazione F2 è una vera chimera: nella “magic
band” è del tutto normale e frequente il verificarsi di bolle propagative a varie latitudini che il più delle volte creano
grandi difficoltà all’OM impegnato in uno sked EME. Per questo motivo è buona
regola tentare il collegamento quando si hanno buone ragioni di ritenere che la
propagazione terrestre sia chiusa nella direzione in cui si trova la Luna: i
migliori risultati, infatti, possono essere ottenuti nelle ore notturne, quando
anche il rumore atmosferico tende generalmente ad attenuarsi di qualche db.
Ma se le difficoltà che si incontrano sono così
elevate, perché cimentarsi nel traffico via Luna in 50 Mhz? Probabilmente le
più significative risposte possano essere sintetizzate come di seguito.
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E’ innanzi tutto
altamente stimolante provare il fascino di riuscire in una attività che sino ad
oggi ha visto impegnati pochissimi OM. L’esiguo numero di qso complessivamente
effettuati lascia ritenere che i radioamatori che sono riusciti sino ad oggi a
completare un collegamento via Luna in 6 metri siano inferiori a trenta. Molti,
inoltre, hanno in passato allestito pregevoli stazioni che però, a causa di eventi
atmosferici avversi e delle ragguardevoli dimensioni delle antenne, sono state
smantellate per fare posto a più gestibili e robusti array per attività EME in
144 Mhz.
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L’attività EME nella
“magic band” consente di effettuare collegamenti dx anche quando la
propagazione terrestre è scarsa o addirittura assente. La Luna, come noto, non
è soggetta agli effetti dell’undecennale ciclo solare e quindi, specie quando
il numero delle macchie solari comincia a scendere e la propagazione F2 o TEP
in 6 metri svanisce, risulta essere un ottimo (se non unico) strumento per
impinguare il nostro DXCC.
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Non può, inoltre, che
risultare affascinante ed al
contempo stimolante la sperimentazione in condizione
limite quali quelle che si riscontrano nella banda dei sei metri.
Certamente, per gli OM che gradiscono avere sempre la certezza del collegamento
l’attività Moonbounce in 50 Mhz non è consigliabile, ma per coloro che amano il
gusto che deriva dal raggiungere un risultato ritenuto dai più impossibile, il
traffico EME nella six meter band è
quello che ci vuole per mantenere sempre vivo il desiderio di accendere la
radio e di provare nuove sperimentazioni.
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Ascoltare segnali
fortissimi in occasione di una apertura ES, farsi passare un rapporto di 59+20
durante una robusta apertura TEP, od ascoltare 559 una stazione lontana in
conseguenza di una (d’ora in avanti sempre più rara) propagazione F2 è
piuttosto semplice anche per stazioni dotate di singole antenne a 3 o più
elementi. Tutt’altra cosa è riuscire ad ascoltare i deboli segnali di ritorno
da 405.000 Km di distanza, fuoriusciti dall’atmosfera terrestre, rimbalzati
sulla superficie lunare e quindi rientrati nella troposfera, dopo aver subito
molteplici deviazioni e rotazioni, con una attenuazione stimabile in circa 141
db dal momento in cui hanno lasciato l’antenna trasmittente. E’ del tutto
chiaro che una stazione che è in grado di ascoltare simili emissioni è
certamente in grado di ascoltare anche i più deboli segnali F2: insomma, una
stazione EME in sei metri rappresenta anche il non plus ultra per il traffico terrestre.
Una volta detto che cosa spinge (o potrebbe spingere)
un OM a cimentarsi nel traffico EME in 50 Mhz, può risultare utile individuare
quale sia l’attrezzatura indispensabile per completare un collegamento.
Occorre in primo luogo, e soprattutto, un sistema di
antenna in grado di fornire almeno 13 dbd di guadagno. Non sono molte le
antenne in grado di ottenere simili prestazioni e quelle poche che esistono sul
mercato, o che si dovesse decidere di costruire, hanno un boom di circa 15
metri con 9 o 11 elementi. E’ di tutta evidenza che simili “mostri” richiedono
ampi spazi e robusti motori per la rotazione, oltre a tralicci di almeno 20
metri di altezza dal suolo se si vuole ottenere un angolo di irradiazione
accettabile.
Una alternativa, peraltro vantaggiosa sotto molteplici
aspetti, è rappresentata dalla possibilità di accoppiare due o più antenne: per
ottenere un array dalle prestazioni interessanti è già sufficiente utilizzare
antenne dal boom corto, anche soltanto di 5 metri. Quattro yagi a 5 elementi,
spaziate di circa 5,5 metri in orizzontale e 4,5 metri in verticale sono
generalmente in grado di fornire i richiesti 13 dbd. Con un simile sistema di
antenne si può già cominciare ad ascoltare le stazioni più attrezzate quando
chiamano CQ. E’ evidente che antenne con boom più lunghi forniscono guadagni
maggiori ed un pattern più pulito, ma in questo caso le spaziature tra
le stesse devono essere adeguatamente aumentate per incrementare in maniera
significativa il guadagno finale. Il sistema di elevazione dell’array,
certamente utile, non è tuttavia indispensabile: in 50 Mhz, infatti, il
guadagno conferito dal suolo, detto ground
gain, è assai rilevante e può raggiungere i 5 db, peraltro con una costanza
e linearità che non è rinvenibile alle frequenze superiori. Questo significa
che una singola antenna di 7 o più elementi posizionata orizzontalmente e con
un buon ground gain può eguagliare le
prestazioni di stazioni più grandi che in quel momento abbiano elevato le
proprie antenne di oltre 15 gradi sull’orizzonte. In conclusione, l’antenna è
la parte più importante della stazione e più è grande meglio è, ma anche con
singole antenne di 7,5 metri di boom è possibile completare un qso EME con le
maggiori stazioni mondiali, specie in JT44.
La potenza richiesta è in relazione al guadagno
dell’antenna di cui si dispone. Alcuni calcoli effettuati da coloro che per
primi si sono avvicinati a questo affascinante modo di fare attività
radioamatoriale hanno portato a considerare una potenza di 40 Kw EIRP come la
minima richiesta per poter avere possibilità di farsi sentire in CW. Se è vero
che utilizzando il JT44 tale requisito può essere ridotto fino a circa 25 Kw
EIRP, è da porre in evidenza che in 6 metri le condizioni EME cambiano con una
velocità che è a dir poco drammatica e le stime sopra riportate sono destinate
ad essere quasi sempre smentite: se in un particolare momento la condizione
propagativa è assente oppure è alto il rumore in banda, potrete usare anche 100
Kw EIRP, ma non riuscirete a completare alcun collegamento. Al contrario,
quando le condizioni sono ottime si possono portare a termine qso in maniera
assai rapida anche con potenze trascurabili: personalmente, con il mio vecchio
sistema di antenne a sei elementi, che di seguito descriverò, sono stato in
grado di riascoltarmi chiaramente in CW utilizzando soltanto 85 watts
(ottantacinque watts!!) in antenna.
Le perdite di segnale tra antenne e ricevitore devono essere
le più basse possibile, ed in questo avvantaggia (una volta tanto!) la bassa
attenuazione che incontriamo a 50 Mhz sui cavi coassiali. Un buon cavo da ½
pollice è in grado di assicurare perdite di segnale trascurabili fino a 30
metri di lunghezza. Alcune stazioni utilizzano un preamplificatore di antenna
posto direttamente in stazione, installato subito prima del ricevitore: è
naturale che i migliori risultati si ottengono posizionando il preamplificatore
il più vicino possibile alle antenne, ma in sei metri anche un buon “pre” con
cifra di rumore inferiore ad 1 db posizionato in stazione può aiutare molto a
ricevere i debolissimi segnali nascosti nel rumore di fondo.
I filtri DSP, oggi presenti in molti apparecchi
ricetrasmittenti dell’ultima generazione, sono utili, ma non indispensabili,
per il traffico in CW, mentre sono addirittura dannosi se si utilizzano sistemi
digitali quali il JT44 che non gradiscono affatto manipolazioni del segnale.
Serve poi un buon software di predizione per sapere
sempre dove si trova il nostro satellite naturale. Di questi programmi se ne
trovano moltissimi su Internet: alcuni sono semplici e gratuiti ma ugualmente
interessanti, altri raggiungono livelli di sofisticazione e perfezione tali che
addirittura consentono loro di essere utilizzati dalla NASA per il tracciamento
dei satelliti artificiali.
Infine, per completare il quadro di quanto necessario
per avvicinarsi a questa affascinate attività radio, occorre richiamare
l’ultimo ma pur sempre indispensabile “ingrediente”: la pazienza. Le condizioni
propagative nella “magic band” sono a dir poco imprevedibili e nervose già in
via ionosferica, figuriamoci via Luna. Non è assolutamente raro dover provare e
riprovare più volte lo sked prima che questo sia portato a termine con
successo. A me è capitato di aver provato un collegamento con una stazione per
oltre 10 volte senza aver mai avuto la possibilità di completarlo e poi, quasi
incredibilmente, riuscire un bel giorno a sentire i segnali del corrispondente
chiaramente in cuffia e portare a termine il qso in meno di 15 minuti.
In effetti i segnali EME in 50 Mhz sono assai diversi
da quelli che si possono sentire nelle frequenze superiori. Innanzi tutto
l’effetto doppler è marginale e comunque sempre contenuto al massimo in 150 Hz:
ciò consente di poter effettuare i qso in isofrequenza senza necessità di
compensare la sintonia. L’effetto Faraday è invece molto marcato e
caratterizzato da periodi di 12-15 minuti. La tipica e più frequente situazione
che si trova ad affrontare l’OM che svolge attività EME in 6 metri è la
evanescenza e debolezza dei segnali alternata a rapidi picchi in cui il
corrispondente è udibile per brevi istanti senza alcuna difficoltà e con
segnali molto forti: non è affatto infrequente dover attendere anche 30 o 40
minuti prima di ascoltare nuovamente, e per pochi secondi, i segnali della
stazione con cui si sta tentando il collegamento. Insomma, si può dire senza il
rischio di essere smentiti che anche per l’attività EME i 6 metri si
caratterizzano per la loro imprevedibilità.
Certamente l’OM più smaliziato può cercare di
compensare l’erraticità tipica della banda organizzando skeds in periodi in cui
le condizioni sono teoricamente
migliori, per esempio in prossimità del perigeo o dopo una abbondante pioggia
che abbia reso ben bagnato il terreno enfatizzandone il ground gain, ma nessuno potrà certo dire quando uno sked riuscirà
ad essere portato a termine con successo: ma proprio questo, in fine dei conti,
è il fascino dell’attività EME in 50 Mhz.
L’attività in CW ha alcune peculiarità rispetto a
quella effettuata nelle bande superiori: i periodi di trasmissione/ricezione
sono di 1 minuto, con la stazione più a est che trasmette nei minuti pari. La
velocità di trasmissione è di circa 10-13 wpm, ma alcune stazioni gradiscono
velocità superiori, di circa 20 wpm. A causa della rapidità con la quale i
segnali appaiono e scompaiono, si è sperimentalmente verificato che risulta
maggiormente conveniente alternare i nominativi anziché ripetere per più volte
quello del corrispondente seguito dal proprio call: w7gj iw5dhn w7gj iw5dhn … questo
consente, infatti, di poter percepire entrambi i nominativi anche durante uno
solo dei brevi periodi in cui i segnali arrivano. Per la modalità JT44 non ci
sono particolarità e le procedure sono del tutto simili a quelle utilizzate per
le frequenze più alte. L’unica raccomandazione, come detto, è quella di evitare
ogni dispositivo di equalizzazione del segnale: lo spettrogramma visualizzabile
dal software in modalità FSK441 o JT6M deve risultare il più piatto possibile.
Anche i propri echi in 50 Mhz sono soggetti alla imprevedibilità
tipica di questa banda: come detto, in condizioni particolarmente favorevoli
sono riuscito ad ascoltarmi in CW con soli 85 watts utilizzando il vecchio
array composto da 4 antenne da sei elementi, mentre stazioni con sistemi di
antenne ancora più performanti hanno ascoltato i propri segnali di ritorno con
soli 30 watts in antenna.
Quando decisi di intraprendere la strada dell’attività
EME in 50 Mhz, il primo problema che mi si pose fu senz’altro quello relativo alla
scelta del sistema di antenna da adottare. A quel tempo, non remoto visto che
si trattava del maggio del 2002, avevo una singola 6M2WL della M2,
una ottima antenna di 12 metri di boom con 9 elementi ed un pattern molto pulito, che grazie ai suoi
11,9 dbd di guadagno risultava essere una vera bomba per il traffico dx.
Tuttavia ogni tentativo fatto via Luna, anche se con stazioni in verità
mediamente attrezzate, non aveva dato alcun risultato e mai ero riuscito a
sentire o “vedere” i miei echi, forse anche a causa della scarsa potenza
utilizzata, certamente QRP per questo genere di traffico. Dopo varie
consultazioni con amici OM di provata esperienza, decisi di allestire un array
di quattro antenne di sei elementi, leggere ma robuste, con un boom intorno ai
7-8 metri ed un guadagno di circa 10 dbd. La scelta finì per privilegiare le
6JXX6 dell’amico Sandro. Appena ottenuti i files per Yagi Optimizer con le
caratteristiche dell’antenna, passai a studiare il sistema di come ottenere un
buon guadagno con lobi secondari accettabilmente contenuti. Dopo svariati
calcoli, decisi che la spaziatura ideale, almeno dal punto di vista teorico,
era di 7,40 metri in orizzontale e
6,20 metri in verticale. Il diagramma di irradiazione che ne derivava (foto 8)
era caratterizzato da un guadagno di 15.55 dbd in spazio libero con lobi
secondari a circa –15db dal principale. La doppia “H” di sostegno, da
realizzarsi con tubi di alluminio di 60 mm di diametro e 2 mm di spessore,
sarebbe stata posizionata a circa 18 metri dal suolo, originando così un angolo
di irradiazione di circa 4,5° sul lobo principale e circa 10° sul secondo lobo,
quest’ultimo con un guadagno di oltre 1,5db inferiore rispetto al primo ma
comunque pur sempre utilizzabile per quando la Luna si fosse trovata alta
sull’orizzonte o per le sempre piacevoli aperture in ES o per il traffico in meteor scatter, dove angoli di
irradiazione più elevati sono sempre apprezzati.
L’accoppiamento delle antenne sarebbe stato realizzato
con un power divisor a quattro vie al
quale si sarebbero connessi i cavi coassiali in RT-50/20 provenienti dai
quattro radiatori. Per la discesa avrei utilizzato il nuovo Ecoflex 15, un ottimo cavo da ½ pollice a bassa perdita (0,6db per
30 metri) ed estremamente flessibile, ideale per sistemi di antenne come il
mio, destinati ad essere abbassati al livello del suolo in caso di maltempo
grazie al carrello motorizzato coassiale al traliccio.
Il preamplificatore, l’SP-6 della SSB Electronics,
sarebbe stato posizionato in testa al traliccio, subito prima
dell’accoppiatore, protetto in una cassetta stagna ed affiancato dal relay
HF-400.
Si era arrivati ormai all’inizio di settembre e dovevo
sbrigarmi se volevo avere il nuovo sistema EME operativo prima delle
interessanti aperture F2 di ottobre (che poi, in realtà, si sono viste assai di
rado nel 2002), che si sarebbero dimostrate un ottimo test per l’intero
impianto.
Con l’ausilio di una gru a cestello e di una a gancio,
il 9 settembre l’H di supporto in tubi di alluminio era montata, e l’11
settembre anche le quattro antenne erano al loro posto (foto 9).
A questo punto non rimaneva altro da fare che la prova
del fuoco: tentare l’ascolto degli echi lunari. L’occasione si sarebbe
presentata soltanto il giorno seguente, al sorgere della Luna. E la prova non
fallì: dopo circa 30 minuti di prove ininterrotte, quando ormai cominciavo a
demoralizzarmi, dapprima debolmente, poi sempre più forti, i miei echi
ritornavano in cuffia decisi e stabili, nettamente superiori al rumore di
fondo. La Luna in quel momento era a 124° di azimuth ed a 3,8° di elevazione. I
segnali rimasero udibili per circa due minuti. Seguirono poi circa 40 minuti di
silenzio, quindi gli echi si fecero sentire nuovamente, per quasi tre minuti.
La Luna era già a 8,5° sull’orizzonte ma i segnali erano addirittura più forti
di prima. Il mio entusiasmo era alle stelle, al punto che chiamai mia moglie
che casualmente passava nei pressi della stazione (distante circa 400 metri da
casa) e la invitai a sentire, non in cuffia ma direttamente dallo speaker della
radio, i forti segnali di ritorno dal nostro satellite. La “tiepida” reazione
della consorte mi riportò immediatamente alla realtà, facendomi rammentare come
non apprezzasse più di tanto il mio “strano” hobby, colpevole (a suo dire) di
distogliermi dagli impegni familiari con troppa ricorrenza. Ma non me ne curai
più di tanto, l’importante era che il sistema di antenna funzionava, e che i
risultati erano addirittura superiori alle aspettative della vigilia.
Il primo qso fu conseguito al primo tentativo con
WA4NJP il 21 settembre. A questo ne sono seguiti, utilizzando il vecchio array,
altri sette, l’ultimo dei quali con W1JJ il 2 settembre scorso.
Ma, si sa, l’appetito vien mangiando e dopo neppure
dieci mesi di vita dell’impianto mi è venuta la voglia di implementarne le già
buone prestazioni.
Ho quindi cominciato a fare vari calcoli e
sperimentazioni su Yagi Optimizer tendenti
a incrementare ulteriormente il guadagno, migliorare il rapporto fronte/retro
ed a limitare al massimo i lobi laterali che, soprattutto in 50 MHz, portano
rumore al ricevitore penalizzando la ricezione dei deboli segnali EME. Al
contempo volevo preservare il lavoro già fatto e, soprattutto, riutilizzare la
struttura a “doppia H” che si era comportata decisamente bene anche nei
confronti dei fortissimi venti che spirano dalle mie parti.
Tra i tanti dubbi avevo una sola certezza: avrei
sicuramente utilizzato una antenna a quel momento in sperimentazione da parte
di Sandro I0JXX, la nuova 7 elementi con boom di 9,40 metri, 11,35 dbd di
guadagno e 23 db di rapporto fronte/retro.
Dopo molte ore passate davanti al computer ho
realizzato che il miglior compromesso tra guadagno e pulizia del pattern si
poteva ottenere con una spaziatura di 7,50 metri in orizzontale e 6,50 metri in
verticale: il guadagno, rispetto al vecchio impianto, sarebbe aumentato di poco
più di 1 db raggiungendo quindi complessivamente i 16,6 dbd, i lobi secondari
sarebbero scesi a –17db ma, soprattutto, il rapporto fronte/retro sarebbe
migliorato di circa 4db. Se è vero che per il traffico ionosferico tali
miglioramenti possono essere trascurabili, per i collegamenti EME risultano drammaticamente
importanti, consentendo altresì di ridurre sensibilmente il rumore proveniente
da direzioni indesiderate.
Alla fine di ottobre 2003 l’impianto è stato
completato e dalle prime verifiche sembra che si comporti egregiamente,
confermando appieno le aspettative: il sistema si è dimostrato assai
silenzioso, con lobi stretti e ben marcati, in grado di eliminare efficacemente
ogni fastidioso rumore non compreso nel lobo principale.
Il primo eco in CW è stato ascoltato il giorno
seguente il completamento dell’array, il 26 ottobre, con la Luna a circa 4,7°
di elevazione, nonostante fosse presente in frequenza un marcato rumore di
origine solare.
Al momento in cui questo articolo è scritto il sistema
ha accumulato soltanto venti giorni di operatività, peraltro quasi tutti
caratterizzati da maltempo e scarsa propagazione, quindi risulta assolutamente
prematuro poter esprimere una approfondita valutazione sulle sue prestazioni.
Si può comunque dire che l’impianto sembra soddisfare pienamente le attese del
suo modesto progettista, soprattutto in termini di pulizia del pattern e
rapporto fronte/retro: un tentativo di qso con l’amico Lance W7GJ è stato
completato senza alcun problema in circa quindici minuti, utilizzando
esclusivamente il secondo lobo tra i 10° ed i 15° di elevazione, per la prima
volta sono riuscito a completare con AA7A che arrivava segnali piuttosto forti
e stabili (Ned utilizza una rope yagi di 10 elementi), e Mick W1JJ è
stato monitorato senza alcun problema durante un suo sked con una stazione
americana. Ma soprattutto, dopo oltre un anno di tentativi infruttuosi con il
vecchio sistema 4x6 e circa una ventina di skeds falliti, sono riuscito
finalmente a completare al primo tentativo, ed in condizioni non ottimali, il
QSO con ZL3TY, che utilizzava 2x6 elementi accoppiate verticalmente: con il
nuovo array i segnali dell’amico Bob arrivavano forti e stabili, a volte anche
udibili senza l’ausilio di cuffie, ed il collegamento (il primo in assoluto tra
Italia e Nuova Zelanda via moonbounce in 50 MHz) è stato portato a
termine quando la Luna, rispetto al QTH di Bob, si trovava ormai di oltre un
grado sotto l’orizzonte. Sembra quindi che il sistema funzioni davvero
egregiamente!
A questo punto all’impianto manca soltanto la
possibilità di elevare le antenne. Se, come ho già detto, tale limitazione non
penalizza più di tanto la possibilità di completare qso con stazioni in tutto
il globo, certamente l’elevazione dell’array comporterebbe alcuni innegabili
vantaggi. In primo luogo, infatti, la Luna sarebbe acquisibile in ogni momento
consentendo maggiore flessibilità nell’organizzare skeds. Inoltre, se da un
lato l’elevazione delle yagi potrebbe comportare una diminuzione (teorica) del ground gain, dall’altro consentirebbe
all’onda elettrica di attraversare una minore porzione di atmosfera e,
oltretutto, di impattarla con un maggiore angolo di incidenza, più
difficilmente soggetto a refrazione e assorbimento. Senza contare, inoltre, che
con le antenne elevate di oltre 20° sull'orizzonte il rumore atmosferico e
industriale diminuisce di molti decibel in 50 MHz.
Con ogni probabilità, quindi, procederò a breve al
montaggio di un rotore ad elevazione, anche in considerazione del fatto che a
partire dal gennaio 2004 le molte stazioni JA attive in 50 Mhz con sistemi di
antenne di pregevole fattura otterranno l’autorizzazione a svolgere attività
EME in sei metri, con grande possibilità, a quel punto, di trovare
corrispondenti ben attrezzati.
L’ultima cosa che ritengo utile affrontare in queste
mie brevi note, e che sinora è stata da tutti trascurata, riguarda la
opportunità di concordare a livello internazionale una allocazione di
frequenza, anche piccola, in cui poter eseguire attività EME in sei metri senza
il rischio di disturbare o di essere disturbati. Attualmente non esistono
regole e ogni sked viene organizzato in relazione alle esigenze delle singole
stazioni. Il fenomeno non ha, sino ad oggi, creato particolari problemi in
quanto il numero delle stazioni attive è relativamente esiguo, ma se la
situazione dovesse in futuro cambiare, come mi auguro, allora l’opportunità ora
suggerita diventerebbe una indefettibile necessità. Senza contare, poi, che
proprio l’assenza di regole omogenee comporta situazioni paradossali: mentre le
stazioni americane non possono utilizzare sistemi digitali, quali il JT44,
sotto 50.100 e quindi concentrano il proprio traffico EME sopra 50.190, il
Governo giapponese ha reso disponibile per l’attività via Luna, senza
limitazioni di modo, una fetta di 100 KHz tra 50.000 e 50.100 Mhz: è chiaro che
in tale situazione gli skeds dovranno essere eseguiti in split, ma è anche
evidente che in tal modo non si facilità l’attività di chi per la prima volta
cerca di conseguire un “initial” sulla magic
band.
Spero, con questo mio articolo, di aver suscitato
l’interesse di qualche OM deciso se non altro a provare ad avvicinarsi
all’attività EME in sei metri. Oggi, grazie anche al sistema digitale
JT44/JT65, che incrementa di circa 10db l’intelligibilità dei segnali rispetto
al CW, fare qso con stazioni dotate di quattro antenne accoppiate non è un
problema insormontabile per chi è attrezzato con un po’ di potenza (oggi
facilmente riscontrabile in molte stazioni operative nella “magic band”,
nonostante il limite di 10 watts applicabile in tale allocazione di frequenza
sia alle patenti speciali che ordinarie) ed una antenna di 6 o più elementi.
Sono inoltre convinto che il ciclo solare in progressivo avvicinamento al suo
picco minimo, con conseguente sempre maggiore difficoltà ad operare in attività
dx ionosferica per i prossimi anni, spingerà molte stazioni ad avvicinarsi a
questo affascinante modo di propagazione, certo non facile, ma proprio per
questo estremamente intrigante e stimolante.