Oltrepassata Caldarola (MC), ci dirigiamo
verso la frazione Vestignano dove troviamo il castello
medioevale costruito tra la seconda metà del IX secolo e la
prima del successivo, ora di proprietà della famiglia
Maraviglia. Il palatium e l’imponente torrione cilindrico
sovrastano la chiesa di San Martino e San Giorgio, dotata di un
notevole complesso pittorico.
Tra ciò che preferisco, sulla parete absidale l’affresco a
colori tenui, ma veri della rappresentazione di San Giorgio che
uccide il drago e salva la principessa. Credo che questa
bell’immagine conservi immutato nel tempo, anche nell’epoca
di Internet, il suo notevole fascino positivo. Essa mi ricorda
il rovescio della sterlina d’oro inglese opera del grande
incisore italiano Benedetto Pistrucci (1784 - 1855) che, apparsa
per la prima volta nel 1817, riscuote ancora successo in tutto
il mondo. Abbiamo poi San Martino a cavallo che cede una parte
del suo mantello per coprire un povero, entrambe queste opere
sono attribuite al pittore caldarolese Simone De Magistris (1538
- 1611) e risalgono al 1588.
Da alcune pareti di questa luminosa chiesa a due navate,
ampliata e ristrutturata nella prima metà del 1500, riaffiorano
vari affreschi, coperti in precedenza da strati di calce, ora in
parte restaurati.
Nel borgo, in alto, c’è il vecchio forno di proprietà della
famiglia Agamennoni. Poteva essere usato liberamente dagli
abitanti della frazione, in cambio di tre giornate lavorative
annuali da prestare durante la raccolta delle olive.
Superiamo l’abitato e la sorgente del Rio, il ruscello che
attraversa Caldarola, percorrendo la strada comunale che conduce
a Montalto di Cessapalombo e quindi nel Parco
Nazionale dei Monti Sibillini. Un nuovo parco di 70.000
ettari istituito nel 1993. Sulla destra troviamo una quercia
secolare che si erge maestosa.
E’ una Roverella (Quercus pubescens) che, all’altezza
di oltre un metro da terra, si dirama in due grossi tronchi. La
circonferenza del suo fusto è di m. 4,90. La longeva pianta, in
tempi recenti è stata potata a regola d’arte, ma ha ancora
qualche ramo danneggiato.
La Roverella, la più diffusa delle querce italiane, ha però
una peculiarità che in certi casi può essere uno svantaggio.
Le sue foglie, infatti, seccano in inverno, ma rimangono
sull’albero, per cadere poi nella primavera successiva. Il 20
novembre 1998, quando le foglie non erano ancora del tutto
secche, ci fu nell’Alto Maceratese un’abbondante nevicata e
il peso della neve ha quindi spaccato parecchi rami delle querce
in particolare.
Da piccolo, quando ne avevo l’occasione, osservavo le grandi
querce. Ne restavo sempre affascinato dalla maestosità del
portamento e dalla fierezza che trasmettono a chi le ammira.
L’ampia chioma, il più delle volte emisferica, il possente
fusto e l’armonioso sviluppo dei rami ne fanno uno degli
alberi secolari più belli. La chioma non ha paura delle
raffiche di vento, il suo legno si può permettere di sfidare il
tempo e le radici sono un punto fermo anche per il terreno
circostante. Tant’è che dove ci sono questi giganti non si
verificano le temute frane. Una vera forza della natura, anzi è
l’essenza stessa della robustezza e della longevità. La
quercia è anche un pianta generosa; le ghiande sono molto
gradite ai suidi e alla sua ombra crescono prelibati funghi come
il porcino nero (Boletus aereus) e ricercati tartufi.
Verso la fine degli anni 50 dello scorso secolo, durante i
lavori per l’ampliamento della strada comunale, nei pressi
della pianta sono state trovate ossa umane. Come nei pressi di
altre chiese, vi era un luogo di sepoltura dimenticato nei
tempi. I resti furono poi tumulati nel cimitero di Caldarola.
All’ombra del secolare albero vi è la piccola chiesa dei
Santi Pietro e Paolo, sul suo frontale spicca un vecchio stemma
papale in pietra serena scolpita. Tale stemma era concesso alle
chiese affiliate alla basilica di San Giovanni in Laterano di
Roma.
La chiesetta privata risale ad oltre 300 anni, fu proprietà
della famiglia Zampini, poi passò alla famiglia Agamennoni,
entrambi signori che possedevano nella zona ampie proprietà
terriere.
All’interno della chiesa, sulla parete sinistra, vi è una
targa marmorea indicante che vi è seppellita Olivetta Ridolfi
una bambina salita in cielo a soli otto anni nel 1882.
L’albero potrebbe narrarci anche avvenimenti ben più
movimentati!
Sulla strada in direzione di Montalto vi è un cippo
commemorativo la morte del giovane Nicola Peramezza, patriota,
figlio di un daziere di Tolentino.
Mercoledì 22 marzo 1944 era il primo giorno di primavera, ma
faceva un freddo intenso, c’era nebbia e nevischio, verso le
ore 4.00 una colonna di circa cento militi nazi-fascisti muove
da Muccia per Montalto e Vestignano. E’ loro intenzione
sferrare un attacco contro i partigiani che, al riparo nelle
montagne della zona, attuano la tattica del mordi e fuggi,
causando non pochi problemi ai tedeschi.
Alcuni patrioti sfuggiti all’accerchiamento di Montalto
cercano scampo verso Vestignano. Ma quasi contemporaneamente due
autocarri nazi-fascisti raggiungono l’abitato di Vestignano
con l’intento di impedire la fuga da quella parte. Il
ventiduenne Nicola Peramezza, preso tra due fuochi, si getta nel
fosso Arrà sito nei pressi della Roverella, ma viene colpito
mortalmente e finito a colpi di baionetta. Altri tre Mario
Ramundo, Guidobaldo Orizi e Lauro Cappellacci cercano
inutilmente rifugio nel forno di Agamennoni, ma vengono scoperti
e uccisi sul posto. Al termine del rastrellamento, lungo la
strada sottostante località Tribbio di Montalto, i
nazi-fascisti fucilarono e gettarono nella scarpata altri
ventisei partigiani (Eccidio di Montalto).
Sul cippo poco lontano dalla Roverella si può leggere: “Qui
nel candore della neve simbolo della sua purezza nell’alba
tragica del 22 marzo 1944 cadeva Peramezza Nicola falciato da
mitraglia fratricida”. Prosegue poi con una bellissima
esortazione: “O viandante soffermati e prega per chi non
ultimo tra una schiera di eroi ha sacrificato la vita per
ridonare alla patria libertà ed indipendenza”.
Negli anni precedenti l’entrata in vigore delle leggi
regionali nr. 7 del 1985 e 8 del 1987 a tutela della flora
marchigiana, nelle nostre zone, purtroppo, furono abbattute
numerose grandi querce.
Quante vicende hanno visto e superato questi “testimoni del
tempo”; è un vero peccato cancellare tanta storia in
poche ore!
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