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Il Rapporto di Onda Stazionaria (ROS): miti e realtà

- versione del 17/7/2012 -  

 

 

Premessa

Questa pagina web si propone l'obiettivo di illustrare - con un certo dettaglio ma senza utilizzare troppe relazioni matematiche - cosa comporti la presenza delle cosidette "Onde Stazionarie" sulla linea di trasmissione (ovvero sul cavo coassiale, sulla piattina o su altri mezzi di trasporto dell'energia RF, qui genericamente chiamati "linee di trasmissione" o più semplicemente "linee"), mettendo in luce degli aspetti che spesso non vengono approfonditi, quali le implicazioni delle impedenze non puramente resistive, che presentino cioè reattanza non nulla.

La pagina è destinata a chi abbia qualche conoscenza di base sulle linee di trasmissione e desideri approfondire la materia senza dover dedicare troppo tempo a comprendere formule talvolta non semplici, senza peraltro pretendere assoluta rigorosità nella trattazione dei vari argomenti. Agli altri si consiglia di consultare i numerosissimi testi universitari che trattano queste questioni.

In tutto quanto nel seguito esposto, al fine di semplificare la trattazione, sono adottate le seguenti principali semplificazioni:

 

 

1. INTRODUZIONE

Generalità sul Rapporto di Onda Stazionaria

Fino ai primi anni 60, quando venivano comunemente usati fili, piattine e scalette come linee di trasmissione della RF, pochi sapevano cosa fossero le Onde Stazionarie (o più propriamente  il "Rapporto di Onda Stazionaria" - ROS, in inglese "Standing Wave Ratio" - SWR). Ancor meno erano quelli che si preoccupavano di verificare che il ROS non fosse di molto superiore al valore ottimale - ovvero 1 - valore che si presenta quando la sia sia "adattata", ovvero sia caricata su impedenza pari alla sua impedenza caratteristica.

Quando successivamente, con il passare degli anni, si andò sempre più diffondendo l’uso dei cavi coassiali, l'interesse per il ROS subì un brusco incremento, in quanto la presenza di un elevato valore di ROS nei cavi coassiali ha delle implicazioni generalmente più importanti che nel caso di fili, piattine e scalette. Tale interesse, alimentato anche dal diffondersi sul mercato dei misuratori di ROS (o di ROS e potenza RF), si è poi acutizzato negli ultimi decenni, al punto tale che il fenomeno delle Onde Stazionarie è attualmente oggetto di un elevatissimo livello di attenzione, talvolta esagerato ed ingiustificato. Conseguentemente, la presenza di un elevato valore di ROS viene oggi comunemente percepita come una disgrazia alla quale sia lecito imputare una grandissima parte dei problemi che ci affliggono (TVI e disturbi vari, distorsioni, "rientri" di RF, distruzione di transistors finali, ecc.).

Indubbiamente parte del timore reverenziale che si ha nei confronti del ROS prende origine dal termine "Onda Stazionaria" che evoca l'immagine di un'onda intrappolata all'interno della linea e che non riesce a fluire regolarmente dal trasmettitore verso l'antenna. Nulla di più falso! Utilizzare l'aggettivo "stazionaria" è stata indubbiamente un cattiva scelta in quanto, in realtà, la presenza di ROS non provoca alcun effetto di tal tipo. Infatti il termine "stazionaria" (come si vedrà meglio successivamente) sorge dal fatto che l'andamento dell'ampiezza della tensione RF (o della corrente RF) lungo la linea ha la forma di un'onda che rimane fissa nel tempo. Per maggior chiarezza:

 

Il termine "Onda Stazionaria" discende proprio dal fatto che detto profilo sinusoidale si presenta come un'onda che rimane immutata nel tempo e quindi "stazionaria". In realtà non si tratta affatto di un'onda, ma solo di una forma! In verità anche l'andamento piatto dell'ampiezza della tensione (o della corrente) che si riscontra quando ROS= 1 rimane immutato nel tempo ed è quindi stazionario, però in quel caso l' "onda" non esiste, nel senso che ha escursione nulla. In conclusione sarebbe stato forse meglio utilizzare, al posto del termine Rapporto di Onda Stazionaria, qualcosa del tipo "Rapporto di Escursione dell'Inviluppo". Ma cosa fatta capo ha!

Val la pena di precisare come sia abituale quantificare il ROS assegnandogli semplicemente il suo valore (ad es. ROS= 1 oppure ROS= 3), mentre la maniera più corretta di farlo sarebbe esprimerlo come rapporto, scrivendo cioè ROS=1:1 oppure ROS=1:3 (ovvero anteponendo "1:" al valore). A volte ciò può creare confusione: ad esempio, seguendo la prima maniera scrivere ROS= 1,3 vuol dire che il ROS vale 1,3, mentre seguendo la seconda maniera scrivere ROS=1:3 (attenzione ai due punti messi al posto della virgola) vuol dire che il ROS vale 3. Qui nel seguito seguiremo esclusivamente la prima maniera che meno si presta a fraintendimenti.

Il livello di comprensione del fenomeno delle Onde Stazionarie è generalmente abbastanza scarso, sia perchè la tematica non è di immediata comprensione da parte di chi non abbia una preparazione tecnica specifica, come pure perchè si leggono spesso qua e là informazioni non corrette o teorie fantasiose al riguardo (come chi propone di ridurre il ROS tagliando la linea di discesa a multipli di mezza lunghezza d’onda, o mettendo degli anelli di ferrite sulla linea, ecc.), contribuendo così a confondere le idee a chi tenti di capirci qualcosa.

 

Un ripassino sulla nozione di Impedenza

Prima di procedere può essere utile ripassare come si relazionino impedenza (Z), resistenza (R) e reattanza (X).

La Z di un componente è quella sua proprietà che tende a limitare la corrente che lo attraversa quando ai suoi capi si applichi una tensione.

Se la tensione ai capi di un dato componente risulta essere in fase con la corrente che lo attraversa, allora quel componente si caratterizza come puramente resistivo. La sua Z è allora costituita dalla sola sua R. Quindi semplicemente Z= R

Quando invece tensione e corrente non siano in fase tra loro, la Z di un componente viene considerata costituta da due parti, ovvero dalla già vista R (comunemente denominata parte reale) e dalla X (comunemente denominata parte immaginaria). L'espressione matematica diventa Z= R+jX, ove j è la costante immaginaria. E' importante notare come il segno + stia a significare come la Z sia costituita da una R ed una X poste in serie tra loro.

Quando la tensione risulti sfasata esattamente di +90 o -90 gradi rispetto alla corrente, allora la R risulta essere nulla e si ha semplicemente Z= jX (componente puramente reattivo, quale lo è un condensatore o un'induttanza).

Al di là delle definizioni matematiche, cerchiamo di comprendere il significato fisico di quanto sopra riassunto:

In un componente che abbia resistenza e reattanza entrambi non nulle, parte della potenza in gioco viene assorbita e parte viene palleggiata.

Ricordiamo come la Z sia definibile per tutte le tipologie di sistemi (meccanici, termici…), e quindi non solo per quelli elettrici; in tutti i casi la Z governa il fenomeno del trasferimento di potenza (da un generatore ad un carico). Consideriamo per esempio un’automobile (un sistema meccanico), la quale può essere grossolanamente rappresentata come l'insieme del motore (che rappresenta il generatore) e della struttura del veicolo (che rappresenta il carico).

La struttura del veicolo acquisisce velocità assorbendo potenza dal motore, e tale assorbimento può essere di fatto modellizzato considerando che la struttura presenti una Z che rappresenta il carico del motore. Detta Z comprende:

Va osservato come, mentre la componente resistiva R è indice di potenza che va a tutti gli effetti persa, la componente reattiva X è indice di potenza che viene immagazzinata nella struttura del veicolo ma poi rilasciata. Si immagini infatti di partire, acquisire velocità fino a raggiungere la velocità desiderata (fase di immagazzinamento energia), spegnere il motore e quindi far procedere il veicolo a folle per forza di inerzia (fase di rilascio dell'energia immagazzinata, durante la quale il veicolo può procedere senza richiedere altra energia al motore).

Nel seguito un'impedenza di valore Z= 50 + j30 ohm verrà indicata come [R= 50 X= 30].

 

 

2. QUALCHE CONSIDERAZIONE INIZIALE

Le linee di trasmissione sono caratterizzate dalla cosidetta impedenza caratteristica che per i cavi coassiali vale tipicamente [R= 50 X= 0] od anche [R= 75 X= 0], [R= 93 X= 0], ... e per le piattine usualmente [R= 300 X= 0], [R= 450 X= 0], ...  Si osserva come in tutti casi sia X= 0, per cui si dovrebbe più propriamente parlare di resistenza caratteristica invece che di impedenza. In pratica ha però prevalso l'uso del termine impedenza, dicendo ad es. "cavo di impedenza caratteristica 50 ohm" o più semplicemente "cavo da 50 ohm d'impedenza" (sottintendendo che  X= 0).

Quando una linea venga terminata con una Z pari alla sua Z caratteristica (ovvero si carichi ad es. un cavo da 50 ohm con un'antenna che abbia una Z pari a [R= 50 X= 0]), si dice che la linea è "adattata". In tale (ottimale) condizione la Z che si "vede" all'altro estremo vale comunque [R= 50 X= 0], indipendentemente dalla lunghezza della linea, mentre si ha ROS= 1. In gergo si dice allora che "non ci sono Onde Stazionarie".

Quando invece la Z di carico sia diversa da [R= 50 X= 0] si manifesta allora un disadattamento che è tanto più forte quanto più forte è la discrepanza tra il valore della Z di carico della linea e [R= 50 X= 0], con crescenti valori di ROS (ovvero > 1). Si osservi come la condizione di disadattamento si manifesta sia nel caso di una R diversa da 50, sia nel caso di una X diversa da 0, sia se si verificano entrambi le condizioni. In ciascuno dei tre casi, sarà comunque sempre possibile ottenere la condizione ROS= 1 inserendo tra linea ed antenna un circuito che trasformi la sua Z in [R= 50 X= 0]. Tale circuito di adattamento d'impedenza viene comunemente denominato "accordatore". Si noti come nel caso di disadattamento dovuto soltanto ad una X non nulla (quindi con R= 50), l'accordatore è piuttosto semplice da realizzare: basterà infatti porre in serie tra linea e antenna una X (ovvero un condensatore o un'induttanza) di valore uguale e opposto a quello della X dell'antenna.

E' molto importante osservare come il valore del ROS vigente sulla linea sia esclusivamente legato alla discrepanza tra la Z caratteristica della linea e quella del carico. Variare la lunghezza della linea o agire all'altro estremo della linea, ad es. ponendo un accordatore tra trasmettitore e linea, non provoca alcun cambiamento del valore di ROS.

Prima di passare ad esaminare il fenomeno delle Onde Stazionarie in maggior dettaglio, è opportuno anticipare brevemente quali siano gli effetti pratici della presenza di un ROS> 1 sulla linea, tenendo bene a mente che detti effetti sono SOLAMENTE i quattro qui sotto descritti: tutti gli altri effetti di cui si senta talvolta parlare vanno semplicemente rubricati nel registro delle fantasie popolari:

1.  Variazione della Z vista dal trasmettitore: quando il ROS sia > 1, la Z che la linea presenta al trasmettitore risulta essere diversa da [R= 50 X= 0], e varia in funzione della lunghezza elettrica della linea stessa (misurata cioè in termini di lunghezze d'onda). Ciò può avere varie conseguenze, principalmente quella descritta al punto 4. Si anticipa come esistano dei casi particolari in cui, in presenza di ROS> 1, la Z che si presenta al trasmettitore vale comunque [R= 50 X= 0] (ad es. quando una linea che abbia impedenza caratteristica diversa da 50 ohm e lunga multipli di mezze lunghezze d'onda sia caricata su di un'antenna che abbia Z pari a [R= 50 X= 0], vedi par. 10).

2. Diminuzione della potenza massima applicabile alla linea: quando il ROS sia > 1, non sarà possibile applicare alla linea la massima potenza RF dichiarata dal costruttore (potenza di targa). Infatti, mentre quando ROS= 1 l'ampiezza della tensione risulta costante lungo la linea (avendo ipotizzato che questa non abbia perdite), quando il ROS sia invece > 1 si riscontra in certi tratti della linea un'ampiezza superiore a quella che si avrebbe con ROS= 1 a parità di potenza RF applicata, e peraltro un'ampiezza inferiore in altri tratti della linea (il tipico andamento oscillatorio dell'ampiezza della tensione lungo la linea è mostrato in Figura 18 nel caso di ROS= 3). Lo stesso vale per l'ampiezza della corrente. E' proprio la presenza di tratti di linea in cui si manifestano sovratensioni e sovracorrenti che impone di non applicare alla linea la massima potenza di targa, onde evitare che in quei tratti si superino i valori massimi ammissibili di tensione e di corrente.

3. Aumento dell'attenuazione della linea: quando il ROS sia > 1, si riscontra un'attenuazione addizionale della linea rispetto al valore nominale di attenuazione (ovvero il valore di targa che viene misurato dal costruttore in condizioni di ROS= 1). Attenzione però perchè l'attenuazione addizionale dovuta a ROS dipende significativamente da quanto alta sia l'attenuazione nominale della linea. In altre parole, per un linea che presenti una bassa attenuazione nominale (alla frequenza di lavoro), l'attenuazione addizionale causata da un ROS> 1 potrebbe risultare modesta anche per valori di ROS abbastanza elevati. La dipendenza tra attenuazione addizionale dovuta a ROS e attenuazione nominale della linea è quantificata in Figura 21. Nei casi pratici, il problema dell'attenuazione addizionale causata dal ROS si presenta in maniera significativa solo nelle bande VHF ed UHF, ove le linee hanno generalmente delle attenuazioni nominali abbastanza elevate.

4. Diminuzione della potenza massima che il trasmettitore può emettere: quando un trasmettitore risulti caricato su una Z diversa da quella di progetto (che è normalmente [R= 50 X= 0]) esso subisce un disadattamento che non gli consente di erogare tutta la potenza RF che potrebbe altrimenti fornire (vedi par. 6, Figura 14). Ciò per due distinti motivi:

A proposito della diminuzione della potenza trasferibile è bene tenere a mente quanto segue:

Chiudiamo il punto osservando che, ove non sia possibile eliminare la causa originaria del disadattamento d'impedenza, la citata riduzione della potenza RF erogata può essere comunque evitata collegando un apposito accordatore direttamente sull'uscita del trasmettitore (accordatore fortunatamente spesso già presente nei trasmettitore). In questo modo sarà comunque possibile far vedere al trasmettitore la Z ottimale [R= 50 X= 0], permettendo così la trasmissione a massima potenza. Naturalmente, ove il carico del trasmettitore sia costituito da una linea con ROS> 1, il citato accordatore non avrà alcun effetto sul ROS, che rimarrà quindi immutato. Riassumendo, in presenza di antenna che presenti una Z non adattata, ovvero diversa da [R= 50 X= 0].:

Tutto quanto detto vale per le applicazioni a banda stretta, quali tipicamente sono quelle radioamatoriali. Per le applicazioni a banda larga, tipiche del campo professionale, entrano in gioco anche altre questioni (echi ed altro), che però qui ometto di citare.

 

 

3. RELAZIONE TRA L'IMPEDENZA DELL'ANTENNA ED IL ROS

Una premessa riguardante la simbologia qui adottata per tensioni e correnti. In linea del tutto generale:

Per le linee di trasmissione in particolare:

I due modelli della realtà sono entrambi validi e del tutto equivalenti tra di loro, Comunque nel seguito i vari argomenti verranno trattati facendo riferimento a Ve ed Ie, senza cioè scomodare Vd, Vr, Id e Ir ove non indispensabile.

Tutto ciò premesso, passiamo ad esaminare la relazione tra ROS e Z d'antenna. A tal proposito si desidera ricordare nuovamente come, per una linea senza perdite, il ROS dipenda ESCLUSIVAMENTE dalla Z dell’antenna. Variare la lunghezza della linea, porre un’accordatore al lato del trasmettitore, o qualunque altra azione che non sia quella di adattare la Z dell'antenna non può in alcun caso comportare un cambiamento del ROS.

Ciò ribadito, nel seguito sono considerati i tre possibili casi.

 

Caso 1: l’antenna presenta una Z puramente resistiva e adattata alla linea

Quando la linea sia caricata con [R= 50 X= 0], si ha notoriamente ROS= 1. Ve e Ie non variano lungo linea e sono legate dalla relazione Ve/Ie= 50. La differenza di fase tra Ve e Ie è ovunque nulla. LA Z vista dal trasmettitore risulta quindi indipendente dalla lunghezza del linea ed è sempre pari a [R= 50 X= 0].

 

Caso 2: l’antenna presenta una Z puramente resistiva, ma non adattata

Quando la linea sia caricata con [R> 50 X= 0] oppure [R< 50 X= 0], si ha notoriamente ROS> 1. In particolare il valore del ROS va così calcolato:

·         se R>50 ohm, ROS= R/50

·         se R<50 ohm, ROS= 50/R.

Da ciò risulta come, ad esempio, la condizione ROS= 3 possa ottenersi sia con una Z d'antenna [R= 150 X= 0] che con [R= 16,66 X= 0]. Pertanto, per antenne che abbiano reattanza nulla (ovvero X= 0), esistono sempre due valori di R che comportano lo stesso valore di ROS.

Vediamo ora come vari, in questo caso, la Z lungo la linea.

A titolo di esempio riferiamoci al già citato caso di ROS= 3, assumendo che la Z d'antenna sia pari a [R= 150 X= 0]. I valori di Ve ed Ie misurati sui i terminali dell'antenna sono quindi legati tra loro dalla relazione Ve/Ie= 150. Inoltre, avendo la Z d'antenna componente X= 0, in quel punto Ve ed Ie risultano essere in fase tra loro.

Non appena però ci si allontani dai terminali dell'antenna, muovendosi lungo la linea, si osserva come:

·         cominci a sorgere una differenza di fase tra Ve ed Ie

·         varino non solo Ve ed Ie, ma anche il loro rapporto.

Pertanto ad ogni punto della linea competerà un diverso valore di Z. La Z vista dall'apparato dipenderà dalla lunghezza della linea ed in generale avrà (tranne che per delle lunghezze di linea particolari, come spiegato nel seguito) componente reattiva X e componente resistiva R entrambi non nulle.

In Figura 1 viene visualizzata la variazione di R e X lungo la linea per il caso in esame.

Figura 1

Per gli interessati si riportano in formato Excel le equazioni tramite cui è possibile risalire ai grafici di R e X mostrati in Figura 1.

·         R=  (B1^2*C1*(1+TAN(RADIANTI(360*A1))^2))/(B1^2+(C1^2*TAN(RADIANTI(360*A1))^2))

·         X= (B1^3*TAN(RADIANTI(360*A1))-B1*C1^2*TAN(RADIANTI(360*A1)))/(B1^2+(C1^2*TAN(RADIANTI(360*A1))^2))

ove R è la resistenza (in ohm), X è la reattanza (in ohm), A1 è la distanza elettrica dall'antenna (in lunghezze d'onda), B1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm) e C1 è la resistenza (in ohm) dell'antenna puramente resistiva.

Sull’asse x viene riportata la distanza elettrica dall'antenna (tenendo cioè anche conto del suo fattore di velocità) espressa in lunghezze d’onda alla frequenza di lavoro. Sull’asse y sono invece riportati i valori delle componenti della Z, ovvero resistenza R e reattanza X, entrambi espressi in ohm.

Nel punto all’origine degli assi (x= 0), corrispondente ai terminali dell'antenna, si ha ovviamente [R= 150 X= 0], in quanto questo è il valore di Z che l'antenna è quì stata supposta avere. Come previsto, man mano che ci si sposta dall'antenna, la Z varia, con R che segue la curva blu e X quella rossa. Gli andamenti mostrati in Figura 1 confermano come, in presenza di ROS> 1, la Z vista dal trasmettitore possa variare fortemente in funzione della lunghezza della linea. Si osserva come, tranne che a distanze particolari dall'antenna, la X risulterà essere tipicamente non nulla (il che sta a significare come la Ve e la Ie sul connettore del trasmettitore non risultino essere generalmente in fase tra loro).

Quanto sopra succintamente esposto viene discusso approfonditamente nell'Appendice 1.

Si osserva come il modulo della Z (ovvero |Z|) che si misura all'estremità della linea (vedi curva verde in Figura 1) vari anch'esso in funzione della lunghezza della linea. Ciò risulta applicando la formula del modulo di Z che è (in formato Excel):

ove |Z| è il modulo dell'impedenza (in ohm), A1 è la R (in ohm) e B1 è la X (in ohm).

Quindi errano coloro i quali ritengono che tutte le possibili Z corrispondenti ad un prefissato valore di ROS abbiano lo stesso |Z|.

Esse hanno invece in comune un altro fattore, rappresentato dalla potenza che si dissipa nella Z quando questa rappresenti il carico di un generatore con resistenza interna pari a 50 ohm. In altre parole, ponendo una qualsiasi delle Z che corrispondono ad un dato valore di ROS a carico di un generatore che abbia resistenza interna di 50 ohm, la potenza dissipata in detta Z è sempre la stessa, indipendentemente dalla particolare coppia [R X] (in realtà la potenza viene tutta dissipata in R, in quanto X non può assorbire potenza per definizione).

E' importante osservare come, a distanze (elettriche) dall'antenna che siano multiple di mezza lunghezza d’onda (ovvero 0,5, 1, 1,5, ecc.), si ripresenti la stessa impedenza dell'antenna, ovvero [R= 150 X= 0] nel caso di Figura 1. La proprietà di "ripetere" l'impedenza è propria delle cosidette "linee a mezz'onda" ed ha validità assolutamente generale, cioè vale per qualunque impedenza di carico, anche se non puramente resistiva. Per tale motivo le linee a mezz'onda vengono spesso utilizzate per misurare l'impedenza di un carico a distanza da questo.

Va peraltro pure osservato come, a distanze (elettriche) dall'antenna che siano invece multiple dispari di quarti di lunghezza d’onda (ovvero 0,25, 0,75, ecc.), si riscontri un'impedenza che ha ancora reattanza X= 0, ma R= 16,66 ohm, ovvero l'altro valore di R a cui corrisponde ROS= 3. In altre parole la "trasformazione in quarto d’onda" non fa altro che "scambiare" tra loro i due valori di R che comportano lo stesso di ROS (cioè 150 ohm e 16,66 ohm, nel caso di ROS= 3). 

La formula della trasformazione in quarto d'onda è (in Excel):

·         R= (A1^2)/B1

ove R è il valore di resistenza risultante dalla trasformazione (in ohm), A1 è l’impedenza caratteristica del linea (50 ohm) e B1 è la resistenza dell’antenna (150 ohm nell'esempio considerato).

Detta proprietà delle linee può essere anche utilizzata in generale per trasformare la resistenza di un'antenna in un qualsiasi diverso valore, utilizzando una linea di lunghezza elettrica pari ad un quarto d'onda (o a multipli dispari di quarti d'onda) che abbia un particolare valore di impedenza caratteristica. Converrà allora porre la precedente relazione nella forma:

·         Z= RADQ(A1*B1)

ove Z è l’impedenza caratteristica della linea a quarto d'onda da utilizzare (ohm), A1 è la resistenza dell'antenna (in ohm) e B1 è il valore di resistenza che si intende ottenere dalla trasformazione (in ohm).

Vale appena la pena di ricordare come la lunghezza fisica della linea sia pari alla lunghezza elettrica moltiplicata per il coefficiente di velocità della linea stessa.

Ad esempio per trasformare un'impedenza di 112,5 ohm a 50 ohm si potrà utilizzare uno spezzone di linea d'impedenza pari a 75 ohm e che abbia lunghezza elettrica pari un multiplo dispari di quarti di lunghezze d'onda. Stesso tipo di cavo potrà essere ad es. utilizzato per trasformare un'impedenza di 141 ohm a 40 ohm, o viceversa. Si tratta di due esempi fortunati in quanto, per diversi valori delle  resistenze, sarà in generale necessario utilizzare una linea che abbia un valore particolare di impedenza caratteristica, magari di non facile reperibilità o addirittura non commercialmente disponibile.

Va infine osservato come l'interesse pratico per le trasformazioni in quarto d’onda si manifesti generalmente solo nei casi in cui l'impedenza da trasformare avvia componente reattiva nulla (X= 0) o quasi. 

Passiamo ora ad esaminare le condizioni estreme, ovvero quelle in cui la linea sia terminata su un impedenza Z di valore nullo oppure infinito, condizioni che chiaramente comportano entrambi un ROS di valore infinito.

La linea risulta chiusa su un'impedenza Z nulla (ovvero [R= 0 X= 0]) quando l'estremità della stessa venga chiusa in corto circuito tramite un conduttore di lunghezza brevissima, di resistenza R praticamente nulla, e la cui induttanza possa anch'essa ritenersi virtualmente nulla (quindi con reattanza X= 0).

La variazione dell'impedenza lungo la linea per questo caso è mostrata in Figura 2.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm21.gif

 Figura 2

Al variare della distanza dall'estremità della linea chiusa in corto circuito, la resistenza R rimane costantemente nulla, mentre la reattanza X è soggetta a forti cambiamenti, assumendo valori negativi e positivi che variano da 0 a + infinito o - infinito. In particolare:

In conclusione un tratto di linea posto in corto circuito ad un estremo può essere utilizzato come condensatore o come induttanza, il cui valore potrà essere regolato variando opportunamente la lunghezza del tratto stesso. Attenzione però perchè il valore di capacità (o di induttanza) che corrisponde ad un tratto di linea di determinata lunghezza risulta variare con la frequenza di lavoro (variando la frequenza, varia anche la lunghezza elettrica della linea espressa in frazioni di lunghezza d'onda). In altre parole i condensatori (o le induttanze) realizzati tramite spezzoni di linea sono frequency-dependent, al contrario dei dispositivi fisici che non lo sono.

Passiamo ora a considerare il caso in cui la linea sia chiusa su un'impedenza Z di valore infinito, condizione che si verifica quando l'estremità della linea venga troncata di netto e lasciata aperta. In tale condizione il carico della linea è rappresentabile come [R= 0 X= infinito], come si può dimostrare facilmente con dei ragionamenti al limite.

La variazione dell'impedenza lungo la linea per questa situazione è mostrata nei grafici di Figura 3, che risultano identici a quella di Figura 2 se non per la traslazione orizzontale di un quarto di lunghezza d'onda.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm22.gif

Figura 3

Al variare della distanza dall'estremità, la resistenza R rimane costantemente nulla, mentre la reattanza X è soggetta a forti cambiamenti, assumendo valori negativi e positivi che variano da 0 a + infinito o - infinito. In particolare:

 

Caso 3: l’antenna presenta un'impedenza qualsiasi

Si tratta del caso più generale, in cui sia la R che la X hanno un valore qualsiasi, fatto che chiaramente si traduce in ROS> 1.

Vediamo innanzitutto quale effetto produca la presenza di una reattanza X posta in serie alla resistenza R. A questo proposito va osservato come le conclusioni qui illustrate siano indipendenti dal fatto che si parli della X positiva di un'induttanza o della X negativa di un condensatore.

Incominciamo con il ROS. In Figura 4 si riferimento ad un'antenna che abbia una componente resistiva R= 150 ohm, ed una componente reattiva X di valore a piacere.

 Figura 4

Per X= 0 si ricade nel Caso 2 prima esaminato (antenna con reattanza nulla), per cui il ROS è semplicemente pari a 150/50= 3. Man mano che X aumenta, anche il ROS aumenta, secondo la relazione (in formato Excel):

·         ROS= -(RADQ(B1^2+(A1-C1)^2)+RADQ(B1^2+(A1+C1)^2))/(RADQ(B1^2+(A1-C1)^2)-RADQ(B1^2+(A1+C1)^2))

ove A1 è la resistenza dell'antenna (in ohm), B1 è la reattanza dell'antenna (in ohm) e C1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm).

Per comodità si riportano qui anche le relazioni inverse (con i valori sempre espressi in ohm):

- noti  ROS (A1), R (B1) e l'impedenza caratteristica (C1):

·         X= RADQ((-A1*B1^2+C1*B1*(1+A1^2)-A1*C1^2)/A1)

- noti ROS (A1), X (B1) e l'impedenza caratteristica (C1):

·         R= (C1+C1*A1^2+RADQ(C1^2+C1^2*A1^4-2*A1^2*(2*B1^2+C1^2)))/(2*A1)

Dal grafico di Figura 4 si evince come la presenza di una reattanza X non nulla nell'impedenza dell'antenna comporti sempre un peggioramento del ROS, qualsiasi sia il suo valore di R (e quindi non solamente per R= 50). In altre parole non ci deve attendere che, giocando con il valore di X, si possa in qualche modo ridurre il ROS causato da una R diversa da 50 ohm.

L'aumento del ROS con l'aumentare di X spiega il perchè si cerchi sempre di lavorare con antenne “risonanti”, cioè con antenne la cui impedenza abbia, alla frequenza di lavoro, componente reattiva X= 0  (in realtà, per i motivi spiegati al par. 8, il valore più basso di ROS talvolta non si ottiene alla frequenza a cui l'antenna risuona).

Passiamo ora ad esaminare l'andamento dell'impedenza lungo la linea quando l'antenna presenti un impedenza che abbia una X non nulla. Converrà allora, a titolo di esempio, considerare un'antenna che abbia impedenza pari a [R= 30 X= 40], in quanto tale impedenza provoca lo stesso ROS (cioè 3) che si manifesterebbe se l'impedenza valesse invece [R= 150 X= 0], caso per il quale già conosciamo l'andamento dell'impedenza lungo la linea (vedi Figura 1).

Sorge allora naturale la domanda se esista una qualche diversità tra gli andamenti dell'impedenza lungo la linea quando questa sia terminata su [R= 30 X= 40] oppure su [R= 150 X= 0], visto che il ROS è lo stesso nei due casi. Per rispondere alla domanda, sono stati tracciati in Figura 5 i grafici che mostrano l'andamento di R e di X in funzione della distanza da un'antenna che abbia impedenza pari a [R= 30 X= 40].

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm3.gif

Figura 5

I grafici sono stati ottenuti utilizzando le seguenti espressioni (in formato Excel): 

R=(B1^2*(B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))*(1+TAN(RADIANTI(360*A1))^2))/(B1^2+((B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))^2*TAN(RADIANTI(360*A1))^2))

X=(B1^3*TAN(RADIANTI(360*A1))-B1*(B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))^2*TAN(RADIANTI(360*A1)))/(B1^2+((B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))^2*TAN(RADIANTI(360*A1))^2))

ove R è la resistenza (in ohm), X è la reattanza (in ohm), A1 è la distanza elettrica (in lunghezze d'onda), B1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm), C1 è la resistenza dell'antenna (in ohm) e D1 è la reattanza dell'antenna (in ohm) .

Attenzione, le espressioni vanno utilizzate tenendo presente che, quando si ponga A1= 0, esse forniscono la coppia R-X non nel punto della linea ove è posta l'antenna, ma nel punto della linea ove la reattanza X= 0. Nell'esempio considerato, per A1= 0 le espressioni forniscono [R= 150 X= 0], e dalla Figura 5 si osserva come detto valore di impedenza si presenti ad una distanza di 0,125 lunghezze d'onda dall'antenna. In altre parole, i grafici che si ottengono utilizzando le sopra riportate espressioni andranno opportunamente traslati se si desidera che la condizione A1= 0 corrisponda al punto della linea ove è posta l'antenna.

E' evidente come i grafici di Figura 5 e di Figura 1 siano identici, se non per il fatto che quelli di Figura 5 risultano spostati a destra di 0,125 lunghezze d'onda. L'entità dello spostamento dipende chiaramente dalla particolare impedenza [R= 30 X= 40] considerata a titolo di esempio; pertanto il valore di 0.125 determinato per il caso in considerazione va considerato come un numero casuale.

Da quanto detto si può facilmente concludere come l'impedenza vista dall'apparato sia la stessa:

·         se l'antenna abbia impedenza [R= 150 X= 0] e la linea sia lunga L

·         oppure se l'antenna abbia invece impedenza [R= 30 X= 40], e la linea abbia lunghezza pari ad L + 0,125 lunghezze d'onda.

D'altra parte osservando la Figura 5 è immediato rilevare come alla distanza di 0,125 lunghezze d'onda si registri l'impedenza [R= 150 X= 0], ovvero proprio quella con riferimento alla quale sono stati derivati i grafici di Figura 1.

Si può quindi concludere come, ai fini pratici, possa essere irrilevante se un determinato valore di ROS sia causato da un'impedenza d'antenna puramente resistiva (cioè con X= 0), oppure da un'impedenza che abbia una componente reattiva X non nulla.

Ciò detto, se si vuole avere rapidamente un’idea dei valori di R e di X che si riscontrano quando ci si muova lungo una linea su cui viga un dato valore di ROS, andrà innanzitutto ricordato come R non assuma mai valori superiori a 50*ROS (estremo superiore) o inferiori a 50/ROS (estremo inferiore). Ad es., per ROS= 3, i valori di R risulteranno ovunque compresi tra a 150 ohm e 16,66 ohm. Val quindi la pena di osservare quanto segue:

A questo punto vorrei sfatare il mito letto da qualche parte che, in presenza di ROS> 1, variare la lunghezza della linea sia equivalente ad interporre un'accordatore tra il trasmettitore e la linea stessa. Infatti:

In chiusura passiamo ad esaminare le varie situazioni che si vengono a creare quando all'estremità della linea venga posta un impedenza puramente reattiva (cioè con R= 0). Si osservi come, se R= 0, il ROS è comunque infinito, indipendentemente dal valore di X.

Al momento di considerare le due situazioni estreme che possono manifestarsi in questo caso, ovvero X= 0 ed X infinito, ci accorgiamo che in realtà dette situazioni sono state già discusse nell'ambito del Caso 2 già considerato. Infatti

Rimane da considerare la situazione intermedia, cioè quella in cui si abbia R= 0 e X di valore qualsiasi. A titolo di esempio si è graficato in Figura 6 l'andamento dell'impedenza lungo la linea quando alla sua estremità venga posta l'impedenza [R= 0 X= -139], ovvero la linea sia chiusa su un condensatore che, alla frequenza di lavoro, abbia reattanza pari a 139 ohm.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm23.gif

Figura 6

E' immediato osservare come la Figura 6 sia identica, a parte una traslazione orizzontale, alle Figure 2 e 3.

Si può pertanto concludere in generale che, quando all'estremità di una linea venga posta un'impedenza puramente reattiva (condensatore o induttanza), l'andamento dell'impedenza lungo la linea è lo stesso che si registra quando detta estremità venga invece chiusa in corto circuito o lasciata aperta. Valgono quindi le stesse considerazioni fatte per quei casi.

 

 

4. MISURA DEL ROS E DELLA POTENZA RF

Scopo di questo paragrafo è quello di comprendere i meccanismi alla base della misura del ROS e della potenza RF, anche nell'ottica di verificare se queste misure risultino influenzate dalla eventuale presenza di una componente reattiva X nell'impedenza vista dal misuratore.

 

Cominciamo dalla misura del ROS

Misurare il ROS senza ricorrere a soluzioni esotiche (ad es. linee fessurate) non è cosa concettualmente banale. Si tratta infatti di misurare un parametro che risulta definito solamente all'interno della linea di trasmissione e che non è pertanto direttamente misurabile se non "stando dentro" la linea stessa. In altre parole un qualsiasi misuratore posto ad un estremo della linea (e quindi non dentro la linea stessa) non può essere concettualmente in grado misurare direttamente il valore di ROS vigente al'interno della linea.

I misuratori di ROS possono quindi solo effettuare misure di ROS indirette, misurando tensione e corrente (e quindi l'impedenza) all'esterno della linea, e risalendo poi da dette misure al valore di ROS che vige all'interno della linea stessa a valle del misuratore stesso. E' un po' la stessa logica delle misure di temperatura: non essendo possibile misurare direttamente la temperatura di un oggetto, si misura allora un parametro che abbia un legame noto con la temperatura. Per esempio, nel caso del termometro a mercurio, si misura la variazione della lunghezza della colonnina, e da questa si risale al valore di temperatura.

A sostegno di quanto detto, si supponga di terminare un misuratore di ROS direttamente su un carico da 150 ohm, senza utilizzare alcuna linea di trasmissione. Non essendo presente alcuna linea, non ha senso parlare di ROS. Però lo strumento indica comunque ROS= 3. Questo è il valore di ROS che sarebbe presente sulla linea che venisse eventualmente utilizzata per collegare il carico al misuratore, invece del collegamento diretto. In altre parole, il misuratore non può accorgersi se sia o meno presente una linea, e si limita ad effettuare una misura di impedenza, dal cui valore ricava poi il ROS.

A questo punto osserviamo come, mentre le tre grandezze che un misuratore di ROS è in condizioni di misurare (ovvero Ve, Ie e fase relativa tra Ve e Ie) assumono, per ROS> 1, dei valori che variano in funzione della lunghezza della linea (in conseguenza della variazione dell'impedenza, vedi Figura 1), il valore di ROS indicato dal misuratore non varierà invece con la lunghezza della linea (in quanto, come già detto, il valore di ROS rimane lo stesso, indipendentemente dal punto ove lo si misuri).

Un metodo per risalire al ROS a partire dalla sopra menzionata terna di misure, potrebbe essere quello di utilizzare un processore che modellizzi le equazioni che legano il ROS vigente sulla linea ai valori dei tre parametri misurati. I comuni misuratori di ROS invece adottano generalmente dei circuiti molto più semplici, così semplici che potrebbe sorgere il ragionevole dubbio se questi siano effettivamente in grado di misurare correttamente il ROS in ogni condizione, ovvero senza farsi influenzare dalla variazione che la terna dei parametri misurati subisce lungo la linea.

In tema di possibili errori nella misura del ROS (vedi anche par. 5) possono distinguersi tre categorie di errori che in linea di principio vanno ad assommarsi gli uni agli altri, ovvero:

·         gli errori legati al principio stesso su cui si basa la misura del ROS. Per esempio, qualora il cavo coassiale non abbia impedenza identica a quella sulla quale è stato calibrato il misuratore di ROS, il valore di ROS indicato non sarà generalmente giusto, in quanto la relazione che il misuratore utilizza per determinare il ROS a partire dalla sopra citata terna di misure non risulta essere quella corretta. Errori di tal tipo, se presenti, non sono in alcun modo eliminabili, essendo espressione di una inadeguatezza intrinseca del principio di misura adottato

·         gli errori dovuti al fatto che il circuito del misuratore, per come viene realizzato in pratica (lunghezza dei fili, capacità parassite, ecc.), non si comporta esattamente come ci si aspetterebbe

·         gli errori legati alla non idealità dei componenti utilizzati (soglia dei diodi, resistenza dell'avvolgimento dei trasformatori, ecc.).

Nel seguito si trascureranno i possibili errori  di misura che rientrino nelle ultime due categorie, in quanto questi risultano essere fortemente dipendenti dalle particolare modalità realizzative del circuito del misuratore, dall'assemblaggio e dalla tipologia dei componenti utilizzati, e non darebbero quindi un contributo utile per una discussione che si propone invece di avere validità generale.

Vi sono numerosi modi di realizzare un misuratore di ROS, ma la stragrande maggioranza di questi si basa sul principio di combinare in modo opportuno le misure di Ve e Ie effettuate nel punto ove è posto il misuratore, adottando tecniche atte a rendere dette misure indipendenti dalla frequenza (entro certi limiti) e mantenere così una buona precisione su di una banda piuttosto larga.

Sebbene esistano diversi tipi circuiti che attuino il principio generico sopra menzionato, questi si comportano tutti in maniera pressochè identica. Per poterne spiegare il funzionamento in dettaglio è opportuno visualizzare la distribuzione della tensione Ve e della corrente Ie lungo la linea come sovrapposizione di un "onda diretta" e di un'onda "riflessa". Ciò porta a definire le cosidette tensione diretta Vd e corrente diretta Id, e le cosidette tensione riflessa Vr e corrente riflessa Ir, grandezze legate dalle relazioni vettoriali Ve= Vd+Vr ed Ie= Id+Ir (tutte queste grandezze sono definite nell'Appendice 1, alla voce L' onda diretta e l'onda riflessa).

A questo punto, senza perdita di generalità, facciamo riferimento al particolare schema (semplificato) mostrato in Figura 7. Vengono utilizzati due strumenti indicatori distinti, rispettivamente denominati "diretta" e "riflessa" in quanto la deflessione degli indici risulta (quasi) proporzionale alla Vd ed alla Vr rispettivamente (le considerazioni qui esposte comunque non cambierebbero qualora si utilizzasse invece un misuratore a singolo strumento commutato).

 Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm4.gif

Figura 7

Il principio su cui si basa la misura del ROS è il seguente:

  1. derivare:

·         tramite il partitore Cx Cy, una tensione Vv che sia una frazione (di ampiezza regolabile tramite Cx) della Ve presente nel punto della linea ove è inserito il misuratore

·         e, tramite il trasformatore (usualmente un avvolgimento su nucleo toroidale di pulviferro attraversato dalla corrente Ie), le tensioni Vc e -Vc di ampiezza proporzionale alla corrente Ie.

  1. porre in serie Vv e -Vc; ciò al fine di ottenere la tensione differenza Vv-Vc che si può dimostrare essere proporzionale alla cosidetta "tensione riflessa" Vr. Similmente porre in serie Vv e Vc al fine di ottenere la tensione somma Vv+Vc che è proporzionale alla cosidetta "tensione diretta" Vd (cosa siano Vd e Vr viene spiegato nell'Appendice 1). Dette tensioni rettificate dai diodi provocano lo scorrimento, nei due strumenti della riflessa e della diretta, delle correnti continue Ib ed Ia, i cui valori dipendono anche da come sono regolate le resistenze variabili Rb ed Ra.
  2. prevedere che Rb e Ra vengano simultaneamente regolate in modo tale che lo strumento della riflessa vada a fondo scala quando il rapporto Vr/Vd sia pari ad 1, ovvero Vr= Vd.
  3. infine tarare la scala dello strumento delle riflessa direttamente in ROS.

Esaminiamo ora meglio i quattro passi sopra elencati, confacendo riferimento ad un misuratore di ROS che venga calibrato (in fabbrica) su una resistenza di riferimento pari a 50 ohm (il valore più comune).

 

Passo 1: Vc e Vv.

Con riferimento Figura 7, si rileva come:

·         il trasformatore T fornisca, tra presa centrale ed un estremo, una tensione Vc di ampiezza proporzionale a quella della corrente Ie che attraversa il misuratore (quindi Vc= m*Ie, ove m è una costante di proporzionalità). Come pure fornisca, tra la presa centrale e l'altro estremo, la stessa tensione di ampiezza Vc ma sfasata di 180 gradi (ovvero -Vc= -m*Ie)

·         il partitore capacitivo formato da Cx e Cy fornisca una tensione Vv di ampiezza proporzionale a quella della tensione Ve presente sul misuratore (Vv= k*Ve, ove k è una costante di proporzionalità che si può variare regolando Cx).

 

Passo 2: Vd ed Vr.

Ricordiamo innanzitutto alcune relazioni (vettoriali) che valgono per una linea con impedenza caratteristica di 50 ohm (vedi Appendice 1):

Dalla Figura 7 è facile constatare come, indipendentemente dal valore della fase tra Ve ed Ie, se si regola Cx in maniera tale che m= k*50:

Il circuito proposto raggiunge quindi lo scopo di alimentare i due diodi con  tensioni che siano comunque proporzionali a Vr e Vd.

Quando il misuratore venga chiuso su un carico puramente resistivo, ovvero [R= 50 X= 0], si ha chiaramente Ve= Ie*50. In tal caso, utilizzando le formule sopra riportate, è facile dimostrare come Vr=0.

 

Passo 3: rapporto Vr/Vd.

La deflessione dello strumento della diretta (la quale è legata alla corrente continua Ia che lo attraversa) dipende dalla tensione continua che si genera a valle di Da, la quale dipende a sua volta da Vd (vedi Passo 2),  dalla resistenza Ra e da quella propria dello strumento. Stesso discorso per lo strumento della riflessa (riferendoci ora a Db, Vr ed Rb).

Come anticipato, il misuratore è progettato in modo che le resistenze Ra e Rb siano variabili contemporaneamente, cioè mantengano gli stessi valori durante la variazione.

La procedura di misura è la seguente:

·         si applica una certa potenza RF

·         si regola Ra (e quindi anche Rb) in modo che la corrente Ia sia tale da far andare a fondo scala lo strumento della diretta

·         in virtù del fatto che Rb varia insieme ad Ra, la frazione di fondo scala indicata dallo strumento della riflessa sarà implicitamente pari al rapporto di ampiezza Vr/Vd.

Quando il misuratore venga chiuso su un carico di riferimento, ovvero [R= 50 X= 0], lo strumento della riflessa non darà alcuna indicazione in quanto Vr/Vd= 0 e quindi Vr=0. Quando il misuratore venga invece chiuso su impedenza nulla (corto circuito) o su impedenza infinita (circuito aperto), lo strumento della riflessa andrà a fondo scala in quanto Vr/Vd= 1 e quindi Vr= Vd.

 

Passo 4: ROS

La scala dello strumento della riflessa va tarata secondo la formula ROS= (1+Vr/Vd)/(1-Vr/Vd), la quale è graficata in Figura 8.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm5.gif

Figura 8

In pratica, per tener conto del fenomeno della soglia dei diodi che comporta una certa imprecisione nelle misure, viene usualmente adottata una scala modificata rispetto a quella di Figura 8. Ad esempio, il valore ROS= 3 si fa usualmente corrispondere ad una percentuale di fondo scala minore del 50%, come risulterebbe invece dalla Figura 8.

A questo proposito si fa osservare come l'influenza di detta soglia sulla scala sia diversa a seconda del valore assoluto di Vv e Vc, e quindi a seconda del livello di potenza alla quale viene effettuata la misura. Pertanto la scala viene usualmente tracciata per un livello di potenza medio. Quando si effettui la misura ad un livello di potenza molto più basso o molto più alto, la precisione di misura ovviamente ne soffre.

Infine, sarebbe possibile dimostrare come l'indicazione del misuratore di ROS non cambi in funzione del punto della linea ove si effettua la misura, anche se, quando ROS> 1, in punti diversi della linea si riscontrano diversi valore di impedenza.

 

Altro approccio di misura del ROS.

Si illustra qui anche un altro schema di misuratore di ROS che invece differisce concettualmente da quello di Figura 7. Si tratta del ben noto "monimatch" (vedi Figura 9), che fu uno dei primi circuiti ad essere storicamente impiegati per la misura del ROS.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\monimatc.gif

Figura 9

Il monimatch è essenzialmente costituito da due linee di misura accoppiate alla linea di trasmissione principale, sulle quali si sviluppano delle tensioni legate rispettivamente alle Vr e Vd presenti sulla linea. Dette tensioni vengono rettificate da due diodi e quindi inviate agli strumenti tramite due potenziometri il cui valore viene fatto variare simultaneamente. Per misurare il ROS si regolano i potenziometri in modo che l'ago dello strumento della diretta vada a fondo scala, e si legge quindi il ROS sullo strumento della riflessa (la scala va tarata come mostrato in Figura 8, a parte la correzione dovuta alla soglia dei diodi).

Il circuito del monimatch, rispetto a quello di Figura 7, fornisce indicazioni di entità fortemente crescenti con frequenza. Infatti mentre nel circuito di Figura 7 l'accoppiamento induttivo che preleva il campione di corrente RF si trova ad essere del tutto indipendente dall'accoppiamento capacitivo che preleva il campione di tensione RF, nel monimatch i due accoppiamenti non sono scindibili dato che avvengono entrambi tramite la stessa linea di misura.

 

Ed ora passiamo alla misura di potenza

Un "wattmetro RF" misura la cosidetta "potenza media" RF (Pm) che transita sulla linea ove sia presente una certa Ve ed Ie. Si ricorda come Pm= 0.5 * Ve*Ie*cos(a), ove a è lo sfasamento relativo tra Ve ed Ie. (N.B. il fattore 0.5 si applica in quanto Ve ed Ie sono stati definiti come i valori di picco di tensione e corrente, mentre non sarebbe presente se invece fossero i valori r.m.s.).

Il fatto che, come si vedrà, un wattmetro RF consente anche di misurare il ROS - e per giunta con maggiore precisione rispetto al misuratore di ROS prima descritto - lo rende chiaramente preferibile.

Per realizzare un wattmetro RF si può utilizzare il già visto circuito di Figura 7, prevedendo le seguenti principali differenze:

Anche in questo caso, per spiegare il funzionamento del wattmetro RF, è conveniente considerare la distribuzione della corrente  e della tensione lungo la linea come sovrapposizione di un "onda diretta" e di un "onda riflessa". Adottando tale modello, risulta allora possibile definire (vedasi l'Appendice 1 alla voce Parliamo ora di potenze):

Si noti come la Pr abbia sempre valore negativo, fatto che sta semplicemente a significare come questa fluisca dall'antenna verso il trasmettitore (e non dal trasmettitore verso l'antenna come la Pr).

La relazione che lega tra loro le varie potenze è:

N.B. asserire che la potenza effettiva presente in un punto della linea è pari alla somma delle due potenze ivi presenti sembrerebbe cosa scontata. In realtà non lo è affatto (per i motivi illustrati in Appendice 1).

Utilizzando il circuito di Figura 7 si ottengono, sui due strumenti, indicazioni separate di Pd e di Pr, e la Pm andrà quindi calcolata applicando la formula sopra riportata. Più precisamente lo strumento della riflessa mostra il valore assoluto della Pr (cioè |Pr|), senza cioè evidenziarne il segno negativo. Ecco perchè, in pratica, Pm va calcolata come differenza tra i valori di Pd e di Pr letti sul wattmetro, ovvero:

Per maggior chiarezza, riferiamoci al caso di un trasmettitore che stia erogando potenza su una linea sulla quale viga un ROS>1. Se ad esempio i due strumenti del wattmetro indicassero:

vorrebbe allora dire che la potenza RF media Pm è pari a 100W. In altre parole, occorre sempre ricordarsi di sottrarre la |Pr| dalla Pd, in quanto la Pd risulta superiore alla potenza effettivamente erogata.   

A tutti gli effetti è come se il trasmettitore riflettesse nuovamente la Pr verso l'antenna. Così la Pr, cambiando verso e quindi segno (da negativa a positiva), si andrebbe a sommare alla potenza Pm erogata dal trasmettitore, dando così luogo alla Pd (che come appena detto, se ROS> 1, ha valore superiore a quello della Pm). Non avrebbe quindi senso dire che Pr "rientra nel trasmettitore", come alcuni credono.

Chiaramente se il wattmetro è terminato su [R= 50 X= 0], si ha allora |Pr| = 0 e quindi Pm= Pd.

Al Passo 2 della discussione relativa al misuratore di ROS si è visto come i diodi Da e Db vengano rispettivamente alimentati da tensioni proporzionali a Vr e Vd, e quindi anche proporzionali a RADQ(|Pr|) ed a RADQ(Pd). Pertanto  le correnti Ia ed Ib che attraversano lo strumento della diretta e quello della riflessa saranno anch'esse proporzionali a RADQ(|Pr|) ed a RADQ(Pd), mentre il loro valore assoluto dipenderà da come vengono regolate Ra ed Rb.

In definitiva, regolando una volta per tutte Ra ed Rb in maniera opportuna, e riportando su entrambi gli strumenti la scala quadratica mostrata in Figura 10 (graficata per un ipotetico fondo scala di 100W), si potrà ottenere l'indicazione diretta dei valori di |Pr| e di Pd.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm6.gif

Figura 10

Avendo assunto lo stesso valore di fondo scala per |Pr| e Pd, i valori di Ra ed Rb risulteranno essere circa uguali tra loro (a parte piccole differenze intese a compensare le inevitabili imperfezioni dei componenti del circuito). Va però osservato come, nella maggior parte dei wattmetri RF, si adotti per la |Pr| un valore di fondo scala più basso di quello della Pd (usualmente di un fattore che va da 5 a 10). In quei casi Ra risulterà essere molto maggiore di Rb.

La scala risulterà essere in pratica un diversa da quella della Figura 10, al fine di tener conto del fenomeno della soglia dei diodi. La discrepanza varierà in funzione del valore di potenza di fondo scala prescelto, per cui la scala dello strumento della Pd risulterà essere tipicamente un diversa da quella dello strumento della |Pr|. Questo spiega perchè nei (buoni) wattmetri a singolo strumento (commutabile tra |Pr| e Pd) vengano tracciate scale separate per |Pr| e Pd. Ed anche scale separate per i diversi valori di fondo scala di Pd (ad es. wattmetri Drake).

Fanno eccezione i wattmetri tipo Bird del tipo a "tappo" (mod. 43 e similari), i quali sono stati progettati in modo che la tensione presente sui diodi risulti essere sempre la stessa, indipendentemente dalla portata di fondo scala prescelta (ovvero dal tappo utilizzato). Ciò è reso possibile dal fatto che i vari tipi di tappi hanno ciascuno un diverso accoppiamento con la linea.

A questo punto riprendiamo quanto già precedentemente detto in merito al fatto che un wattmetro RF può essere anche utilizzato per effettuare misure (indirette) di ROS. Ciò in quanto il ROS risulta legato a Pd e |Pr| dalla relazione (espressa in formato Excel):

ove A1 è pari alla |Pr| e B1 è pari alla Pd.

Per facilitare il calcolo del ROS vengono spesso utilizzati degli abachi, quali quello mostrato in Figura 11 (la "forward power" è la Pd, mentre la "reflected power" è la |Pr|).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\abaco.gif

Figura 11

Se si adotta per la |Pr| un valore di fondo scala minore di quello della Pd, diventa allora possibile meglio apprezzare i piccoli valori di |Pr| che si manifestano negli impianti in cui è presente un basso valore di ROS;

Interessante rilevare come la misura di ROS effettuata utilizzando il circuito di Fig. 7 configurato come wattmetro RF sia concettualmente più precisa che configurando lo stesso circuito come misuratore di ROS (anche se in pratica le differenze possano esser piccole). Ciò in quanto, come già osservato, la misura del ROS viene influenzata dal livello di potenza a cui si effettua la misura, mentre la misura derivata dai valori misurati di potenza RF non soffre di questo problema, in quanto le scale degli strumenti che indicano |Pr| e Pd vengono ciascuna appositamente tracciata con riferimento al proprio livello di potenza di fondo scala. In pratica, la grandissima parte dei misuratori commerciali che adottino il circuito di Figura 7 (o uno equivalente) effettuano solamente la misura della potenza RF (da cui è poi possibile calcolare il ROS), mentre solo alcuni di essi sono anche utilizzabili come misuratori di ROS.

 

 

5. ACCURATEZZA DELLE MISURE DI ROS E DI POTENZA RF

Influenza di carichi non puramente resistivi sulle misure di ROS

Ci riferiamo qui nuovamente al circuito di Figura 7, ed iniziamo analizzando dapprima la misura di ROS.

Immaginiamo di collegare il misuratore di ROS ad una linea che presenti ROS> 1 e partiamo dal caso più semplice, ovvero quello in cui la lunghezza della linea sia fortuitamente tale da far vedere al misuratore un'impedenza puramente resistiva ovvero che non abbia componente reattiva (si tratta in realtà di una circostanza alquanto particolare in quanto essa si presenta solo per particolari lunghezze della linea - vedi Figura 1).

In tal caso la misura di ROS non sarà affetta da errori (a parte quelli dovuti alla non idealità dei componenti utilizzati), in quanto la scala dello strumento (vedi Figura 8) viene tarata in fabbrica utilizzando delle resistenze pure che abbiano valore opportuno (ad es. 150 ohm per ottenere l'indicazione di ROS= 3).

Passando ora al caso più comune, ovvero quello in cui l'impedenza vista dal misuratore abbia, oltre alla componente resistiva R, anche una componente reattiva X, ci si deve ora chiedere se il misuratore di ROS indichi correttamente il valore di ROS che corrisponde alla coppia di valori R ed X.

A tale scopo sono state sviluppate le equazioni che modellizzano il funzionamento del misuratore di ROS, tenendo debito conto dello sfasamento che si viene a creare tra Vv ed Vi (vedi par. 4) quando il misuratore sia caricato su un'impedenza che abbia reattanza X non nulla. I risultati di un analisi condotta per il caso ipotetico di ROS= 2 sono riportati in Figura 12.

 Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm7.gif

Figura 12

La curva blu di Figura 12 rappresenta tutte le possibili coppie R e X che corrispondono al valore di ROS assunto: la R è mostrata sull'asse x, mentre la X è mostrata sull'asse y di sinistra, Si osserva come, coerentemente con l'assunzione di ROS= 2, X risulti pari a 0 sia per R= 25 che per R= 100.

La curva rossa riporta il valore di ROS indicato dal misuratore, determinato sviluppando le equazioni del relativo circuito. Il fatto che la curva rossa sia in realtà una retta sta a  testimoniare come la misura del ROS risulti essere del tutto indipendente dalla particolare coppia R ed X che dia luogo al valore di ROS assunto. In altre parole si dimostra come il principio di funzionamento su cui si basa il misuratore di ROS sia tale da fornire un'indicazione che dipende solo dal valore di ROS vigente sulla linea.

In altre parole il fatto che, nel punto di misura, l'impedenza abbia una componente reattiva X non nulla non comporta di per errori nella misura del ROS. Ciò è in linea con il fatto che le indicazioni degli strumenti di misura sono legate (vedi par. 4) solo a Vd ed Id, e non sono quindi influenzate dalla fase relativa tra la Ve e la Ie (come pure dall'entità dell'eventuale reattanza nel punto di misura).

 

Influenza della lunghezza della linea sulle misure di ROS

Un aspetto da approfondire è il perchè spesso, variando la lunghezza della linea che interconnette l'antenna al misuratore di ROS - talvolta anche di poche decine di centimetri - si osservi una variazione del ROS misurato, contro la teoria che stabilisce come il ROS sia solo determinato dall'impedenza caratteristica della linea e dal valore dell'impedenza di carico, e quindi non dalla lunghezza della linea.

Le motivazioni, che sono principalmente tre, possono ciascuna contribuire in modo additivo alla variazione del ROS riscontrata in pratica. Le elenchiamo:

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\ros53.gif

Figura 13

Detta variazione è interamente causata dalla discrepanza di soli 3 ohm nel valore di impedenza, e potrebbe diventare ancor maggiormente evidente qualora si usassero cavi con impedenza nominale di 52 ohm invece che 50 ohm.

 

Effetto del tipo di modulazione sulle misure di potenza

Passiamo ora a considerare la misura della potenza RF media (Pm) che, come già detto, va determinata come differenza tra l’indicazione di potenza diretta (Pd) e di potenza riflessa (|Pr|). Anche in questo caso sono state sviluppate le equazioni che forniscono la differenza tra la letture di Pd e |Pr| in funzione delle coppie R ed X, mentre si tiene fissa la potenza applicata Pm. Detta analisi ha portato a concludere che, in linea di principio, il circuito di Figura 7 è in grado di determinare la Pm senza errori per qualsiasi valore del ROS (in pratica, a causa della non idealità dei componenti del circuito, la precisione della misura potrebbe peggiorare in presenza di valori di ROS elevati).

Si desidera infine rilevare come la misura di Pm effettuata utilizzando il circuito di Figura 7, od uno equivalente, sia di principio solo valida in presenza di un segnale che abbia inviluppo costante, quale è una portante continua tipo FM o CW. L’errore di misura che si presenta quando si abbia invece a che fare con un segnale ad inviluppo variabile, quale può essere un segnale AM, è dovuto al fatto che il circuito in questione effettua la misura della potenza in maniera indiretta, misurando in realtà delle tensioni e presentando il risultato di dette misure sotto forma di potenza, grazie all’impiego di una scala quadratica che ricalca il grafico riportato nell’esempio di Figura 9. Altri tipi di strumenti, ad esempio i bolometri, invece misurano la potenza in maniera diretta, e forniscono quindi indicazioni corrette anche in presenza di segnali ad inviluppo variabile.

Per chiarire meglio questa problematica, prendiamo a riferimento un segnale RF di tipo AM, costituito da una portante modulata al 100% da un segnale sinusoidale, e per semplicità riferiamoci al caso di ROS= 1 (in cui Pm= Pd e Ve= Vd).

Supponiamo che, in assenza di modulazione, Ve valga 100V, corrispondente ad una Pm di 100 W su carico di 50 ohm. Un misuratore basato sul circuito di Figura 7 misura di fatto la Ve, e la scala è calibrata in modo che, quando questa valga 100V, lo strumento indichi una Pm di 100 W.

Quando si applichi la modulazione sinusoidale al 100%, la Ve non è più pari a 100 V, ma varia tra 0 V e 200 V in funzione dell’ampiezza istantanea del segnale modulante. Il valor medio della Ve rimane però chiaramente pari a 100 V, cioè lo stesso valore che aveva quando il segnale RF non era modulato. Pertanto il misuratore, che fornisce un’indicazione di Pm legata al valor medio della Ve, fornirà sempre la stessa indicazione di 100 W. Tale valore è errato in quanto è facile calcolare come, in presenza di modulazione sinusoidale al 100%, la Pm del segnale RF modulato valga invece 150W.

L’errore in questione dipende dalla non linearità della relazione tra Ve e Pm, e dal fatto che il misuratore, invece di misurare direttamente il valor medio della Pm, misura in realtà il valor medio della Ve e poi indica la potenza che corrisponde teoricamente a detto valor medio.

Provate a collegare un wattmetro RF ad un trasmettitore AM, e vedrete come la potenza indicata non vari in presenza di modulazione. Utilizzando invece un bolometro (che è un wattmetro "termico") osservereste invece un forte aumento della potenza in presenza di modulazione.

 

 

6. EFFETTO DEL ROS SULLO STADIO DI POTENZA RF

Il titolo di questo paragrafo sarebbe dovuto più correttamente essere "effetto del disadattamento dell'impedenza di carico sullo stadio di potenza RF". Ciò perchè, come già precedentemente accennato:

Lo stadio di potenza di un trasmettitore allo stato solido include una rete L-C fissa progettata per adattare l'impedenza propria del dispositivo finale di potenza (transistor o FET) a [R= 50 X= 0]. In base al teorema del massimo trasferimento di potenza, se anche la Z di carico del trasmettitore vale [R= 50 X= 0], allora questo trasferisce al carico stesso tutta la potenza di cui è capace.

Ove invece la Z di carico abbia un valore diverso da [R= 50 X= 0], si potrà comunque raggiungere l'adattamento - e quindi il massimo trasferimento di potenza - utilizzando un accordatore che è spesso entrocontenuto nel trasmettittore (nei vecchi trasmettitori a valvole l'adattamento veniva raggiunto regolando manualmente dei condensatori variabili, il cosidetto pigreco).

Ma in assenza di accordatore, cosa accadrebbe qualora il trasmettitore venisse caricato su una Z diversa da [R= 50 X= 0]? Principalmente due cose:

Nell'esaminare più in dettaglio dette questioni, converrà qui per semplicità di trattazione - ma senza perdita di generalità - riferisci al caso il cui il trasmettitore sia terminato su una linea di discesa d'antenna (caso in cui ha senso parlare di ROS).

Per quanto riguarda il primo dei due punti sopra menzionati, esaminiamo come vari la  potenza trasferita dal trasmettitore alla linea in funzione dell'impedenza Z che questa presenta al trasmettitore stesso, senza tener per il momento conto dell'eventuale azione dell'APC (vedi par. xxx). Per meglio comprendere il fenomeno è opportuno considerare inizialmente il caso (vedi Fig. 14) in cui detta Z sia puramente resistiva (ovvero X= 0). 

Figura 14

Con riferimento ad un trasmettitore in grado di erogare 100 W nominali, i grafici di Figura 14 mostrano come vari, al variare della R presentata dalla linea, la potenza che il trasmettitore trasferisce alla linea (curva rossa) e come vari la potenza dissipata nel trasmettitore (curva blu). Va rilevato come i valori di quest'ultima debbano intendersi approssimativi (la potenza effettivamente dissipata dipende dal progetto del particolare trasmettitore).

Dall'esame della Fig. 14 si evince quanto segue:

Passando dal caso considerato (Z vista dal trasmettitore puramente resistiva) al caso più realistico di Z con componente reattiva X non nulla, converrà far riferimento alla Figura 15 nella quale viene mostrato cosa accada al variare della componente reattiva X, ed al tempo stesso della componente resistiva R in maniera tale che la Z risultante corrisponda sempre allo stesso valore di ROS (pari a 2 in Figura 15). I (due) valori di R abbinati a ciascun valore di X sono definiti dalla curva blu.

 

Figura 15

La curva rossa mostra come la potenza trasferita dal generatore al carico sia indipendente dal valore di X, e pari ai circa 89 W che risultano dalla curva rossa di Figura 14 quando R= 25 o R=100 (cioè per ROS= 2). Si può quindi concludere che l'entità della potenza che viene trasferita dal generatore al carico dipende solamente dal valore del ROS, ed è indipendente dalla particolare coppia [R X] che provoca quel ROS.

Per quanto riguarda la potenza dissipata invece (curva verde di Figura 15), questa dipende non solo da X ma anche da quali dei due valori di R abbinati ad X si consideri (N.B. il semiarco verde più in alto corrisponde al semiarco blu più in basso e viceversa) 

A questo punto possiamo tornare a considerare i rischi di avaria che i dispositivi (transistors o FET) dello stadio finale del trasmettitore subiscono, che sono ovviamente tanto più forti quanto più forte sia il disadattamento del carico. Infatti il disadattamento può in generale comportare, per i dispositivi, maggiori tensioni, maggiori correnti e maggiore potenza dissipata. A tal riguardo si può dire che, a parità di ROS, in presenza di elevati valori di R si registrano forti tensioni, mentre con bassi valori R si manifestano forti correnti e forti potenze dissipate (vedi Figura 14).

Si era già detto (vedi par. xxx) come, per ridurre praticamente a zero i rischi di avarie causate da disadattamento di impedenza, praticamente tutti i trasmettitori sono dotati di un circuito denominato Automatic Power Control (APC) che, in presenza di valori di ROS significativi, riduce il livello di pilotaggio allo stadio finale e quindi la potenza da questo erogata.

In  realtà il circuto APC è usualmente progettato per "sentire" non solo il ROS ma anche la corrente dello stadio finale e quindi la potenza dissipata nel trasmettitore. Ciò perchè, come già osservato, la corrente non dipende solo dal ROS, ma anche dal valore della R di carico (ad es. per ROS=3, la R può valere 16,66 oppure 150. Nel primo caso la corrente sarà molto più elevata che nel secondo).

Si sfata così la credenza secondo cui la potenza riflessa Pr ('Appendice 1) che conseguente ad un ROS> 1\ possa, "rientrando nel trasmettitore", danneggiare i transistors o FET finali.

 

 

7.  SERVE TAGLIARE LA LINEA A MISURA?

Un'altra delle credenze che spesso circola negli ambienti radiantistici è quella che la linea debba essere tagliata a misura, in multipli di mezza lunghezza d'onda (tenendo ovviamente conto del fattore di velocità del linea stessa), anche se poi il beneficio che discenda da tale circostanza non viene mai ben identificato. La credenza trova origine nel fatto che, come peraltro evidente dalla Figura 1, a multipli di mezza lunghezza d'onda l'impedenza si ripete uguale a se stessa,

Prima di tutto la questione potrebbe teoricamente porsi solo quando si abbia a che fare con un impianto a singola banda. Per impianti multibanda infatti, la condizione che la linea risulti lunga un multiplo di mezza lunghezza d'onda può essere ottenuta solo per una delle bande di lavoro, o al massima solo per qualcuna.

Prima di affrontare la questione, osserviamo innanzitutto come, anche volendo tagliare la linea a lunghezze multiple di mezza lunghezza d'onda, occorrerebbe comunque precisare come vada effettuata la misura. Certamente la misura inizia dal connettore a cui è connessa l'antenna, ma dove termina?:

·         al connettore dell'apparato? Ma allora bisognerebbe anche tener conto dei percorsi interni nell'apparato stesso, fino a giungere al modulo trasmittente

·         al connettore dell'accordatore? Ma cosa accade allora quando l'accordatore venga posto in condizione by-pass? Si potrebbero forse usare dei cavi di connessione anch’essi di lunghezza calcolata

·         al connettore del lineare? Stessa considerazione fatta per l'accordatore. Ove però siano presenti in stazione sia l’accordatore che il lineare, tagliare tutti cavi di connessione a misura diventerebbe ancora più complicato. 

Inoltre andrebbero compensate le possibili variazioni della lunghezza elettrica della linea causate da dispositivi (quali filtri, balun, ecc.) eventualmente presenti sulla linea stessa.

Chiaramente le incertezze sopra identificate diventano tanto più importanti quanto più piccola sia la lunghezza d’onda, ovvero quanto più alta sia la frequenza di lavoro.

Va poi anche considerato come la misura, per quanto ben fatta, sarà comunque soggetta ad errori, che di nuovo avranno importanza tanto maggiore quanto più sia elevata la frequenza operativa. La nocività degli errori risulterà essere massima quando, intendendo tagliare la linea a lunghezza multipla di mezza lunghezza d'onda (ovvero 0,5, 1, 1,5, 2, ecc.), la linea risulti invece avere, a causa degli errori di misura, una lunghezza che sia multiplo dispari di quarti di lunghezza d'onda (ovvero 0,25, 0,75, 1,25, ecc.). Infatti, come peraltro anche evidente dalla Figura 1, a multipli dispari di quarti di lunghezza d'onda si verifica il prima citato effetto di trasformazione in quarto d'onda (vedi par. 3), in dipendenza del quale l'impedenza subisce il massimo cambiamento possibile, invece di essere ripetuta uguale a stessa come era negli intenti.

Ma può un errore di tale entità verificarsi effettivamente in pratica? Per esempio alla frequenza di 432 MHz si tratterebbe di sbagliare la misura di circa 17 cm. Se la discesa fosse ad esempio lunga 40 metri, si tratterebbe di compiere un errore di circa lo 0,4%, forse un po' elevato per una mano esperta, ma non poi così tanto se si tengono anche in conto le già menzionate incertezze relativamente a quale debba essere la lunghezza fisica da tenere effettivamente in conto e quelle dovute alla presenza dei connettori.

Nel seguito vengono peraltro citati degli esempi che mostrano come degli errori possano benissimo anche verificarsi per motivi non legati all'imperizia di chi esegua la misura:

·         supponiamo di voler utilizzare per la frequenza dei 432,000 MHz una discesa di lunghezza elettrica perfettamente pari a 100 mezze lunghezze d'onda, ovvero 22,882 metri (tenendo conto di un fattore di velocità pari a 0,659). E' facile calcolare come la stessa linea alla frequenza di 434,160 MHz presenti una lunghezza elettrica pari a 100,5 mezze lunghezze d'onda, ovvero 201 quarti di lunghezze d'onda. Il risultato è che, con un semplice spostamento di frequenza all'interno della banda operativa, la linea passa da multiplo di mezza lunghezza d’onda (ripetendo quindi l’impedenza dell’antenna uguale a stessa) a multiplo dispari di quarti di lunghezze d'onda (agendo così da trasformatore in quarto d'onda nei riguardi dell’impedenza dell’antenna). Proprio l'opposto di quello che si voleva!

·         il fattore di velocità delle linee non è sempre noto con precisione, specie quando si tratti di linee a bassa perdita che abbiano isolante di tipo foam (nel qual caso si riscontra anche una certa dipendenza del fattore dalle condizioni ambientali, ad es. dall’umidità). Ritorniamo alla nostra linea lunga 22,882  metri, tagliata per costituire multiplo di mezze lunghezze d'onda alla frequenza di 432,000 MHz. E' facile calcolare come, se il fattore di velocità della linea risultasse essere in pratica pari a 0,656 invece del valore presunto di 0,659 (quindi con una approssimazione, od una variazione nel tempo, dello 0,5 %), la lunghezza della linea passi da multiplo di mezza lunghezze d'onda a multiplo dispari di quarti di lunghezze d'onda. Come l'erba maligna, risorge il trasformatore in quarto d'onda!

Esaurita questa premessa sul senso e sulla difficoltà pratica di fare in modo che la linea sia effettivamente lunga un multiplo di mezze lunghezze d'onda, torniamo alla domanda iniziale: ma a che pro?

Per quanto già più volte detto il ROS è indipendente dalla lunghezza del linea, per cui scartiamo subito ogni ipotesi di ottimizzare il ROS tagliando la linea a misura.

Nel tentativo di intuire quale possa essere la logica di chi propone l'utilizzo di linee lunghe multipli di mezza lunghezza d'onda, si potrebbe per esempio riferirla al fatto che, con tali lunghezze ed in presenza di un’antenna che abbia un'impedenza puramente resistiva - anche se non 50 ohm - l'impedenza che si presenta all’estremità della linea di discesa risulta anch’essa puramente resistiva (vedi Figura 1). Non sarebbe però facile comprendere quale possano essere i vantaggi conseguenti all’ottenimento di un’impedenza puramente resistiva all’estremità della discesa. Infatti:

·         per quanto riguarda il trasmettitore, come visto al par. 6 la potenza massima che l’apparato può di fatto erogare dipende, in linea di principio, solo dal ROS e non dall'eventuale presenza di reattanza nell'impedenza di carico. Come pure non si registra un aumento della potenza dissipata nello stadio finale per il solo fatto che l’impedenza, a parità di ROS, non appaia puramente resistiva

·         per quanto riguarda poi la misura del ROS, come detto al par. 5 l'eventuale presenza di reattanza al punto in cui il misuratore di ROS è inserito non altera, in linea di principio, la precisione di misura del ROS.

In conclusione, non si ritiene che la fatica di tagliare la linea a misura sia compensata dall’ipotetico beneficio che ne possa conseguire.

 

 

8.  MA DOVE RISUONA L'ANTENNA?

Prima di esaminare la questione, va chiaramente ben compreso cosa voglia dire che un'antenna è "risonante". Si dice che l'antenna risuona ad una determinata frequenza quando, a quella frequenza, la sua impedenza abbia componente reattiva X=0, indipendentemente dal valore della sua componente resistiva R (la quale, anche per un'antenna risonante, potrebbe essere ben diversa dai 50 ohm canonici). Naturalmente, poichè X varia con la frequenza, un'antenna potrà risultare risonante solo ad una particolare frequenza (od ad alcune particolari frequenze nel caso di antenne multibanda).

A questo punto va innanzitutto sfatata la comune credenza che un'antenna risonante funzioni meglio di una non risonante. La risonanza è questione che riguarda esclusivamente l'impedenza dell'antenna e quindi come questa debba essere alimentata, mentre non incide assolutamente sulle sue proprietà radiative (guadagno, lobi, ecc,). In altre parole un'antenna non risonante irradia perfettamente bene come un'antenna risonante; chiaramente rimane il fatto che la condizione ROS=1 è solamente ottenibile con un'antenna risonante (che abbia R= 50), ma ciò è questione che riguarda solo il trasferimento di potenza dal trasmettitore all'antenna e non le prestazioni di quest'ultima.

Dalla Figura 4 si evince come quando, nell’impedenza dell’antenna, ad una data componente resistiva R si venga ad aggiungere una componente reattiva X, si riscontri un aumento del ROS di entità crescente con X. Sembrerebbe quindi immediato poter concludere che la frequenza a cui si misura il valore minimo del ROS è quella a cui si ha anche X=0, ovvero la risonanza dell'antenna.

Detta affermazione, che è assolutamente vera quando il ROS alla risonanza sia pari ad 1, risulta invece non sempre valida quando il ROS alla risonanza sia > 1.

A tal proposito facciamo riferimento ad un'antenna di tipo spiderbeam che presenti la risposta ROS / frequenza indicata in Figura 16 (ottenuta con EZNEC).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\rison1.gifDescrizione: Descrizione: C:\HomePage\rison2.gif

Figura 16

A questo proposito si osserva quanto segue:

In definitiva mentre lo strumento di misura indica la presenza di un minimo di ROS a 29,0 MHz, in realtà l'antenna risuona a circa 27,0 MHz. Ben 2 MHz di discrepanza, circa il 7%! Interessante notare come, se con la stessa antenna si usasse una linea a 75 ohm al posto di quella considerata da 50 ohm, il valore minimo di ROS si riscontrerebbe alla frequenza di 28,8 MHz e varrebbe 1.54.

In conclusione, vista l'impossibilità di determinare la vera frequenza di risonanza del'antenna (se non misurando l'impedenza direttamente al connettore dell'antenna), e sopratutto considerando che, come già accennato, la risonanza dell'antenna non rappresenta nulla di magico, conviene lasciar perdere e semplicemente tarare l'antenna per il minimo ROS alla frequenza di lavoro.

 

 

9. LINEE CON ATTENUAZIONE

Nei paragrafi precedenti si è costantemente assunto di avere a che fare con linee ideali, cioè con linee che non abbiano perdite e non comportino quindi attenuazione dei segnali che le attraversino. In questo paragrafo esaminiamo alcune delle implicazioni che discendono dal fatto che, in pratica, le linee reali di trasmissione invece attenuano i segnali.

 

Caso di linea adattata

Le caratteristiche di attenuazione di una linea adattata, cioè chiusa sulla sua impedenza caratteristica, sono tra i dati forniti dal costruttore ed sono espresse in termini di dB per ogni 100 piedi (circa 30 m) o per ogni 100 m di lunghezza. Partendo da questi dati e tenendo presente che l'attenuazione (in dB) è proporzionale alla lunghezza, è facile determinare l'attenuazione di una qualsiasi linea adattata.

Fisicamente l'attenuazione della linea è dovuta a due fenomeni concomitanti:

A questo proposito va rilevato come le perdite nel rame abbiano usualmente una rilevanza molto superiore a quelle nel dielettrico, come discusso al par. 9 e visualizzato in Figura 22.

Passiamo ora ad esaminare con maggior dettaglio il caso di linea adattata, ovvero chiusa su impedenza [R= 50 X= 0], e supponiamo che il trasmettitore immetta nella linea un potenza RF media Pm di 100W.

Se la linea non avesse perdite, la Pm risulterebbe costante (100 W) lungo tutta la linea, come pure la Ve (che manterrebbe ovunque il valore di 100 V).

Quando la linea presenti invece una certa attenuazione, vale l'esempio mostrato in Figura 17, che mostra l'andamento della Pm (in rosso) lungo la linea e quello della Ve (in blu). Nell'esempio si è assunto che il tratto di linea considerato (lungo 5 lunghezze d'onda) comporti un'attenuazione complessiva di 6 dB.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm30.gif

Figura 17

La Pm di 100 W immessa nella alla linea si riduce a soli quasi 25 W sui terminali dell'antenna. La Ve è soggetta a una minore diminuzione, a causa della sua relazione quadratica con la Pm. La Ie ha lo stesso andamento della Ve.

 

Caso di linea non adattata

Passiamo ora a considerare il caso di una linea caricata su impedenza [R= 150 X= 0] e che presenti quindi ROS= 3. A soli fini di confronto riportiamo inizialmente in Figura 18 l'andamento della Ve (in blu) lungo la linea, nell'assunzione che questa sia senza perdite.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm31.gif

Figura 18

Si noti il caratteristico andamento sinusoidale del valore di picco della tensione da cui deriva il nome "onda stazionaria" (maggiori dettagli al riguardo sono forniti nell'Appendice 1). Per una Pm di 100 W immessa nella linea, la Ve oscilla intorno a circa 115,5 V, con picchi di circa +/- 57,7 V (la giustificazione di tali valori è riportata nell'Appendice 1).

La Figura 19 mostra come si modifichi la Figura 18 quando si supponga che, fermi restando gli altri parametri, il tratto di linea considerato abbia ora un'attenuazione totale di 6 dB.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm32.gif

Figura 19

Nel grafico viene mostrato anche l'andamento del ROS (in verde), il quale vale 3 in corrispondenza al connettore dell'antenna, ma diminuisce man mano che ci si avvicini al trasmettitore, ove diventa circa 1,29. E' evidente come la misura del ROS eseguita al trasmettitore risulti parecchio ottimistica, in quanto il valore del ROS lungo la linea è sempre più elevato di quanto misurato. Tale variazione peraltro non si manifesterebbe se la linea non avesse perdite, come evidente dal grafico piatto del ROS mostrato in Figura 18.

Si tratta di questione ben nota dovuta al fatto che l'onda della tensione diretta subisce dell'attenuazione nel percorrere la linea dal  trasmettitore verso l'antenna, mentre poi la tensione riflessa subisce nuovamente dell'attenuazione nel tornare indietro dall'antenna verso il trasmettitore. E ciò falsa la misura. La Figura 20 mostra il classico grafico dell'Handbook ARRL che fornisce il ROS apparente (cioè quello misurato al trasmettitore, "SWR at transmitter") in funzione del ROS effettivo (ovvero quello che si misurerebbe direttamente sul connettore dell'antenna, "SWR at antenna"), e dell'attenuazione della linea (quella dichiarata dal costruttore, senza tenere in conto altri eventuali effetti).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrg1.gif

Figura 20

Dal grafico si evince come, quando una (lunga) linea presenti una forte attenuazione (come spesso avviene in VHF/UHF), essa presenterà al trasmettitore un ROS basso anche se lasciata aperta o cortocircuitata al'estremo (quindi con ROS infinito).

In chiusura si desidera quantificare quanto già precedentemente detto in merito al fatto che la presenza di ROS> 1 sulla linea comporta un'aumento dell'attenuazione della linea stessa (ovvero un'attenuazione addizionale), aumento che risulta essere tanto più forte quanto più alto è il ROS e quanto più alta è l'attenuazione nominale della linea (ovvero quella misurata con la linea terminata sulla sua impedenza caratteristica). Tale comportamento è quantificato nel grafico di Figura 21, anch'esso riportato nell'Handbook ARRL (l'SWR indicato nel grafico è il ROS misurato direttamente all'antenna).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrg2.gif

Figura 21

Attenzione: le perdita causata dal ROS è tutta qui, ovvero il ROS non provoca ulteriori perdite oltre quelle quantificate in Figura 21.

Dal grafico di Figura 21 è facile stabilire come, quando l'attenuazione nominale della linea sia bassa (ad esempio in HF), anche l'attenuazione addizionale causata dal ROS sarà modesta od addirittura trascurabile. Al limite, se l'attenuazione nominale della linea fosse idealmente nulla, allora anche l'attenuazione addizionale sarebbe anch'essa nulla, indipendentemente da quanto alto sia il valore di ROS.  

Per meglio comprendere detto comportamento, ricordiamo come l'andamento della tensione di picco V (come pure della corrente di picco I) lungo la linea:

Poniamo ora l'attenzione sulle perdite (ovvero sulla potenza dissipata) causate dalla presenza di V sulla linea, che sono date dalla nota espressione 0,5*V2/R (stesso ragionamento si potrebbe fare per le perdite causate dalla I nella linea). Confrontando tra loro le Figure 17 e 19, si osserva come in certi punti della linea la V con ROS> 1 risulti superiore alla V con ROS=1. In altri punti al contrario.

Poichè la potenza dissipata varia - come visto - con il quadrato della V, la maggior potenza che si dissipa, quando ROS> 1, nei punti in cui la V risulta superiore alla V con ROS=1 non risulta compensata dalla minor potenza che si dissipa, sempre quando ROS> 1, nei punti in cui la V risulta inferiore alla V con ROS=1. Pertanto la condizione ROS> 1 comporta comunque un aumento della potenza dissipata e quindi dell'attenuazione della linea.

Chiaramente, se la linea fosse senza senza perdite (ovvero R= infinito), la potenza dissipata sarebbe comunque nulla, sia per ROS> 1 che per ROS= 1. Ecco perchè, per il ROS, si parla di "aumento di attenuazione" invece che semplicemente di "attenuazione".

Ciò detto, e tornando ora al grafico mostrato in Figura 21, va rilevato come detto grafico sia strettamente valido solo per delle ipotetiche linee nelle quali  l'attenuazione derivi in egual misura dalle perdite nel rame e dalle perdite nel dielettrico. Nella realtà invece, le prime sono usualmente molto superiori alle seconde, come già accennato.

Da ciò discende il fatto che, nella realtà, l'aumento di attenuazione del cavo dovuta alla presenza di ROS non dipende solo dal valore di ROS e dall'attenuazione nominale della linea come sembrerebbe prendendo per buona la Figura 21, ma varia anche in funzione della lunghezza della linea in termini di numero di lunghezze d'onda (anche se detta variazione è percentualmente tanto meno sentita quanto più lunga è la linea).

Per meglio chiarire quanto sopra esposto si consideri uno spezzone di linea corto, ad es. di lunghezza inferiore al quarto d'onda, e chiuso su una resistenza più elevata di quella caratteristica (quindi operante in regime di ROS> 1). Poichè lungo tutta lo spezzone la corrente RF risulterebbe essere così più bassa di quella che si avrebbe in condizioni di adattamento, si può concludere che, per lo spezzone considerato, la presenza di un ROS> 1 comporta un'attenuazione complessiva addirittura inferiore di quella nominale!

Il grafico di Figura 21 mostra, per un prefissato valore di ROS, una sostanziale continuità dell'aumento di attenuazione con l'attenuazione nominale. Oltre un certo valore di attenuazione però l'aumento di attenuazione tende a saturare. Ciò si spiega con il fatto che, aumentando la lunghezza della linea e quindi la sua attenuazione nominale, i "pezzi" di linea che si vanno man mano aggiungendo sono soggetti ad un ROS ormai basso (vedi Figura 19) e forniscono quindi un contributo sempre più modesto all'aumento dell'attenuazione.

 

Un esempio chiarificatorio

Si riporta qui un esempio inteso a verificare il grafico di Fig. 21, facendo riferimento ad una linea che abbia un'attenuazione propria pari a 2,0dB e su cui viga un ROS= 7. Dalla Figura 21 risulta un aumento dell'attenuazione causato da ROS pari 2,5 dB, per un'attenuazione totale di 4,5 dB. Nell'esempio considerato si ha allora:

Pertanto:

 

Un altro esempio chiarificatorio

Illustriamo ora un altro interessante esempio di applicazione dei grafici riportati nelle Figure 20 e 21. Supponiamo ora di avere un sistema di trasmissione costituito da:

Studiamo ora separatamente il comportamento del sistema in trasmissione ed in ricezione.

Sembrerebbe quindi che la linea attenui di più in trasmissione che in ricezione, cosa invece del tutto non vera come dimostrato dalle seguenti considerazioni:

In conclusione la perdita complessiva del sistema (data dalla somma dell'aumento dell'attenuazione della linea dovuto a ROS e della perdita di disadattamento) è comunque pari a 1,25 dB, sia in trasmissione che in ricezione.

 

Cause fisiche delle perdite nelle linee

In chiusura approfondiamo un discorso al quale si era precedentemente accennato e cioè che, tipicamente, l'attenuazione della linea è maggiormente causata dalle perdite nel rame che dalle perdite nel dielettrico. Ad esempio, per il cavo Times LMR-400, che ha un diametro esterno similare a quello dell'RG-213 ed isolamento di tipo foam, l'attenuazione complessiva (in dB per metro) è data dalla somma:

ove f è espressa in Hz

Utilizzando dette formule è possibile ottenere il grafico mostrato in Fig. 22.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\lmr400.gif

Figura 22

A tal proposito valgono le seguenti osservazioni:

 

 

10. IMPIEGO DI LINEE CON IMPEDENZA DIVERSA DA 50 OHM

Generalità

Prima di considerare il possibile impiego di linee che abbiano impedenza diversa da 50 ohm (o da 52 ohm in alcuni casi), può essere interessante comprendere il motivo per il quale detto valore di impedenza sia stato adottato come standard praticamente universale.

La scelta dell'impedenza di 50 ohm nasce dal compromesso tra il valore ottimale dal punto di vista dell'attenuazione ed il valore ottimale dal punto di vista della potenza di picco ammissibile (N.B. non della potenza media; probabilmente si era più interessati alle applicazioni radar nelle quali, come noto, si registrano forti di valori di potenza di picco e meno forti valori di potenza media). A tal proposito:

La media aritmetica tra i due valori è 53.5 ohm, quella geometrica è di 48 ohm. Da ciò discende la scelta di 50 ohm come valore di compromesso.

Tutto ciò premesso, esaminiamo brevemente quali siano le altre impedenze che vengono più comunemente adottate:

Vale appena la pena di ricordare che, utilizzando una linea che abbia impedenza diversa da quella dell'antenna ma sia lunga multipli di mezze lunghezze d'onda, il trasmettitore vedrà comunque l'impedenza dell'antenna inalterata. Ciò anche se, ovviamente, sulla linea sarà presente un ROS> 1.

Nel seguito si espone qualche considerazione in merito al'impiego dei cavi da 75 ohm e della piattina da 300 ohm.

 

Linee a 75 ohm

Per quanto riguarda le linee a 75 ohm, va innanzitutto osservato come la scelta di questo valore per i sistemi di ricezione TV è probabilmente legata al fatto che, come sopra detto, questo valore comporta la minima attenuazione (mentre per i sistemi TV non ha interesse sostenere un'elevata potenza di picco). In realtà però, per i normali cavi che non impiegano aria come dielettrico, il minimo di attenuazione si registra intorno ai 64 ohm. Un'altro possibile motivo e che le antenne dipolo hanno impedenza vicina a 75 ohm, mentre quelle a dipolo ripiegato hanno un'impedenza di 300 ohm, però facilmente trasformabile a 75 ohm utilizzando un balun con rapporto 1:4 (anche se, oggi, per la ricezione TV si utilizzano tipicamente antenne Yagi multi-elemento, che presentano valori di impedenza più bassi).

L'interesse che spesso si riscontra per l'utilizzo di linee a 75 ohm, anzichè a 50 ohm, si giustifica come segue:

A tal proposito va rilevato quanto segue:

Per quanto riguarda il ROS, non è detto che, utilizzando una linea da 75 ohm al posto di una da 50 ohm, la situazione debba necessariamente peggiorare. Se da una parte è vero che in presenza di un'antenna ideale cioè con [R= 50 X= 0], il cavo da 75 ohm comporterebbe ROS= 1.5, dall'altra è anche vero che in presenza di un'antenna che abbia ad esempio [R= 100 X= 0] si avrebbe ROS= 1.33, ovvero un valore inferiore al ROS= 2 che si manifesterebbe qualora si usasse un cavo da 50 ohm.

Ciò premesso, va osservato come, utilizzando un normale misuratore di ROS calibrato su 50 ohm, non sia possibile stabilire quale sia il valore di ROS effettivamente vigente sulla linea da 75 ohm. Tale limitazione discende dal principio sul quale si basano i misuratori di ROS (vedi par. 4), secondo cui misura del ROS è strettamente legata al valore d'impedenza rilevato dal misuratore, e la cui relazione con il ROS perde validità quando misuratore risulti calibrato su un'impedenza diversa da quella caratteristica della linea.

Nella pratica, fissato il valore di ROS effettivamente presente sulla linea da 75 ohm, il misuratore calibrato su 50 ohm fornirà delle indicazioni diverse in funzione della lunghezza della linea stessa. Detta situazione è rappresentata in Figura 23 la quale,  in corrispondenza ad ogni valore di ROS effettivamente presente sulla linea a 75 ohm, delimita il campo (lettura minima - lettura massima) entro cui cadono le letture del misuratore calibrato su 50 ohm. Ad esempio per ROS = 1.75 sulla linea da 75 ohm, il misuratore di ROS calibrato su 50 ohm potrebbe indicare un qualunque valore compreso tra circa 1,15 e circa 2,65, in funzione della lunghezza della linea.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\75.gif

Figura 23

Le misure così effettuate possono quindi solo dare delle indicazioni di larga massima sul ROS effettivo. Ad esempio, misurando ROS= 1,5, è possibile stabilire che il ROS effettivo sarà comunque non superiore a 2,25. Oppure misurando ROS= 2,25, il ROS effettivo sarà comunque non inferiore a 1,5.

L'impossibilità di misurare con certezza il ROS effettivo (a meno che non si disponga di un misuratore calibrato su 75 ohm) lascia dell'incertezza nella determinazione della attenuazione aggiuntiva causata da ROS (vedi par. 9).

Osservando la Figura 23 val la pena di evidenziare due aspetti:

Chiusa la disamina sul ROS, val la pena di fare qualche considerazione sull'impedenza vista dal trasmettitore, in quanto è proprio questa a condizionare il trasferimento di potenza dal trasmettitore alla linea (vedi par. 6). Poichè l'impedenza vista dal trasmettitore assumerà necessariamente uno dei possibili valori che corrispondono al valore di ROS misurato (con riferimento a 50 ohm), anche in questo caso si potrà far riferimento alla Figura 23.

Per dare un'idea di cosa accada sostituendo la linea da 50 ohm con una da 75 ohm, si riportano alcuni esempi che si riferiscono a diversi valori del carico di terminazione. Negli esempi di dirà che la situazione "migliora" quando risulta essere più basso il valore di ROS al quale corrispondono i possibili valori di impedenza (e viceversa se "peggiora"):

Si è infine verificato che:

 

Linee a 300 ohm

Passando a considerare brevemente le linee a 300 ohm (piattina TV), va osservato come detto valore di impedenza fu probabilmente scelto al'inizio dell'era della TV, quando si usavano antenne a dipolo ripiegato che hanno appunto impedenza di 300 ohm.

La piattina a 300 ohm viene talvolta prescelta per la sua bassa attenuazione, specie quando si abbia a che fare con antenne che presentino valori d'impedenza incontrollati (ad es. canna da pesca utilizzata su più bande di frequenza, con accordatore in stazione) e che comportino quindi valori elevati di ROS sulla linea. Il ragionamento è che, se l'attenuazione della linea è bassa, sarà anche bassa l'attenuazione addizionale dovuta al ROS (vedi par. 9).

In realtà questo tipo di ragionamento non tiene bene in conto il fatto che l'attenuazione dichiarata dal costruttore della linea è quella che si misura quando la linea è caricata sulla propria impedenza caratteristica. La bassa attenuazione dichiarata per la piattina è principalmente legata al fatto che, quando venga caricata su 300 ohm, solo una piccola parte della potenza applicata viene dissipata in calore a causa di perdite ohmiche, che come noto sono date dal prodotto della resistenza del conduttore per il quadrato della corrente che lo attraversa (trascurando le perdite nel dielettrico come detto al par. 9).

Orbene la bassa dissipazione della piattina non è tanto dovuta alla bassa resistenza dei conduttori (tanto è vero che questi hanno un diametro tutto sommato modesto), ma quanto al fatto che, con un carico da 300 ohm, la corrente RF è 2,45 volte più bassa della corrente che si misura in un cavo da 50 ohm a parità di potenza.

Quando la linea sia caricata su un'impedenza incontrollata, quello che più conta è la bassa resistenza dei conduttori e da questo punto di vista la piattina a 300 ohm certamente non eccelle.

 

Adattamenti di impedenza

In chiusura si vogliono brevemente menzionare delle tecniche che permettono di adattare tra loro impedenze diverse utilizzando appositi spezzoni di cavo. Diciamo subito che queste tecniche hanno lo svantaggio, rispetto all'impiego di trasformatori RF, di funzionare solo sulla frequenza di progetto, con larghezze di banda generalmente non elevate,

La prima tecnica, quella del trasformazione in quarto d'onda, è stata già menzionata al par. 3. E' una soluzione semplice, ma spesso richiede l'utilizzo di sezioni di adattamento che abbiano valori di impedenza non disponibili commercialmente o quanto meno difficilmente reperibili.

Un'altra tecnica che presenta questo problema in maniera più limitata è il sistema di adattamento a trasformatore lineare (vedi Figura 24), il quale utilizza due sezioni di adattamento che hanno la stessa impedenza di quelle da adattare (Z1 e Z2).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\match.gif

Figura 24

La formula per calcolare la lunghezza elettrica di ciascuna sezione di adattamento è (in Excel):

ove L è la lunghezza elettrica di ciascuna sezione (in frazioni di lunghezza d'onda), A1 è l'impedenza Z1 (in ohm), B1 è l'impedenza Z2 (in ohm).

Si ricorda ancora una volta come la lunghezza fisica di una sezione sia pari alla sua lunghezza elettrica moltiplicata per il coefficiente di velocità della linea.

Per esempio, nel caso in cui si debba adattare l'impedenza di 75 ohm a 50 ohm, la formula fornisce una lunghezza elettrica di 0,0815 lunghezze d'onda. In pratica, se la lunghezza d'onda vale 20 metri e il coefficiente di velocità delle sezioni di linea vale 0.659, allora la lunghezza fisica di ciascuna sezione sarà 1,074 metri.

 

 

APPENDICE 1

Convenzioni per tensioni, correnti e potenze

Stabiliamo innanzitutto quali siano le convenzioni che si adottano per tensioni e correnti, ed in particolare per i loro segni.

Nella Figura 25 è mostrata una linea di trasmissione che congiunge un generatore ad un carico, Mettiamoci in un punto della linea a piacere, identificato dalla sezione A-B.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\fasi.gif

Figura 25

Per quanto riguarda la tensione V, è possibile mettere il simbolo indicatore di positività (ovvero il simbolo +) sul punto A o sul punto B, in maniera del tutto arbitraria. Nella Figura 25 lo si è messo sul punto A, il che sta a significare che, negli istanti in cui la V risulta positiva, il punto A è supposto trovarsi ad un potenziale più alto rispetto al punto B. Negli istanti in cui la V risulta invece negativa, il punto A è supposto trovarsi ad un potenziale più basso rispetto al punto B.

Per quanto riguarda la corrente I, si tratta ora di stabilire quale sia il verso indicatore di positività, ovvero quello orario o quello antiorario. Per convenzione è positivo quel verso secondo cui, muovendoci dal generatore verso il carico, si attraversa la sezione considerata in corrispondenza all'indicatore di positività della V (ovvero al simbolo +). Nella Figura 25 il verso indicatore di positività della I è quindi quello antiorario (ovvero quello indicato dalla freccia). Pertanto, negli istanti in cui la I risulta positiva, la corrente è supposta fluire in senso antiorario.

Tutto ciò non serve in realtà per definire questioni di natura fisica (ovvero se un punto si trovi ad un potenziale effettivamente più alto rispetto ad un altro, o per stabilire come effettivamente circolino gli elettroni), ma molto più semplicemente per poter stabilire in maniera univoca la relazione di segno tra V ed I, e quindi interpretare la relazione di fase tra V ed I senza ambiguità alcuna.

Ciò stabilito, diventa anche possibile caratterizzare il flusso di potenza che transita attraverso la sezione A-B. Come noto la "potenza istantanea" è data dal prodotto tra la V e la I ad ogni istante. Pertanto:

Quindi, in linea generale, la potenza istantanea palleggia tra generatore e carico.

In pratica però, più che la potenza istantanea che varia istante per istante, ha interesse considerare il valor medio della potenza, ovvero la potenza effettiva o "potenza media" (Pm), la cui relazione con l'ampiezza di picco della tensione (V) e l'ampiezza di picco della corrente (I) è:

ove a è lo sfasamento relativo tra tensione e corrente (il fattore 0.5 non sarebbe presente se, invece dei valori di picco di tensione e corrente si fossero considerati i loro valori efficaci).

In formato Excel:

ove Pm è espressa in W, A1 e B1 sono rispettivamente i valori di picco della tensione Ve (in V) e della corrente Ie (in A) nel punto di linea considerato, e C1 è pari allo sfasamento relativo (in gradi) tra Ie e Ve.

Nella pratica a sarà compreso -90 gradi o + 90 gradi, e quindi la Pm risulterà positiva (fluendo da generatore verso carico ). Peraltro qualora ipoteticamente si registrassero dei valori di a superiori a +90 gradi o inferiori a - 90 gradi (con cos(a)< 0), la Pm risulterebbe negativa, e ciò starebbe a rappresentare una situazione in cui la potenza fluisce dal carico verso generatore.

In chiusura si osserva come nonostante, quando ROS> 1, Ve ed Ie varino lungo la linea, la Pm rimane invece costante in ogni punto della linea. Pertanto, a differenza delle Ve ed Ie, il diagramma della Pm lungo la linea non assume la forma di un' "onda stazionaria". Il metodo più semplice per calcolare Pm è quello di porsi in uno dei punti della linea in cui l'impedenza risulti puramente resistiva (X= 0), dove cos(a)= 1 (punti che abbiamo visto comunque esistere, indipendentemente dal valore di ROS). Si potrà allora utilizzare una delle due relazioni (in Excel):

ove Pm è espressa in W, A1 è il valore di picco della tensione Ve (in V), B1 è il valore di picco della corrente Ie (in A) e C1 è pari alla resistenza (in ohm) nel punto di linea considerato.

 

Premessa

Torniamo ora all'esempio di Figura 1 nel quale si è considerata un'antenna la cui impedenza abbia componente reattiva X nulla, e la cui corrente sia quindi in fase con la tensione. Non appena ci si allontani dall'antenna lungo la linea abbiamo visto come subito insorga una componente reattiva X non nulla dovuta al fatto che tensione e corrente non si mantengono più in fase tra loro.

Mentre in Figura 1 ci si è limitati a mostrare l'andamento delle componenti R ed X dell'impedenza lungo la linea, in quest'Appendice si desidera esaminare in maggior dettaglio la variazione (cioè l' "onda") della tensione Ve e della corrente Ie effettivamente presenti nei vari punti della linea, sia in ampiezza che in fase.

Successivamente si introdurranno anche i concetti di onda diretta ed onda riflessa, in base ai quali l'onda di tensione effettiva Ve (che va dal trasmettitore verso l'antenna) viene interpretata come sovrapposizione di due onde di tensione Vd e Vr (che vanno rispettivamente dal trasmettitore verso l'antenna e dall'antenna verso il trasmettitore). Stessa cosa per le correnti.

Va rilevato come considerare la tensione effettiva oppure considerare le tensioni diretta e riflessa rappresentino due modi alternativi, ma del tutto equivalenti, di descrivere una stessa realtà.

Lungo tutta questa discussione si è mantenuta l'assunzione di considerare linee ideali senza perdite con impedenza caratteristica di 50 ohm.

 

Andamenti della tensione e della corrente effettive

Il valore istantaneo della tensione Ve presente in un qualsiasi punto della linea di trasmissione, come peraltro anche quello della corrente Ie, varia sinusoidalmente nel tempo alla frequenza del segnale applicato (stiamo qui parlando della tensione e della corrente effettiva sulla linea, e non delle tensioni e correnti dirette e riflesse di cui si parlerà successivamente).

La Ve può essere notoriamente visualizzata come un'onda di tensione che si propaga dal trasmettitore verso l’antenna. Perchè si parla di "onda"? Semplicemente perchè se consideriamo uno dei punti della linea nei quali, ad un certo istante, il valore di Ve è massimo, detto punto si muove lungo la linea proprio come fa la cresta di un onda del mare (teoricamente alla velocità della luce; in pratica alla velocità effettiva si applica un fattore riduttivo denominato "fattore di velocità"). Stessa cosa vale per l'onda di corrente Ie.

Nelle considerazioni che seguono ha spesso interesse considerare, oltre al valore istantaneo della Ve in un certo punto della linea, anche il valore massimo assunto da Ve (detto anche valore di picco Ve). Stessa cosa per la Ie e la Ie. A tal proposito ricordiamo quanto segue:

 

L' onda diretta e l'onda riflessa

Va ricordato come, per le linee di trasmissione, sia d'uso considerare l'onda di tensione effettiva Ve (di cui si è appena parlato) come sovrapposizione di due onde componenti denominate rispettivamente onda di tensione diretta Vd (che, al pari della Ve, viaggia dal trasmettitore verso l'antenna) ed onda di tensione riflessa Vr (che viaggia invece dall'antenna verso il trasmettitore). La relazione che lega queste grandezze è Ve= Vd+Vr (si tratta chiaramente di una somma vettoriale, nel senso che, al momento di effettuare la somma, occorre tener anche conto della fase relativa tra i due addendi).

Stessa cosa vale per l'onda di corrente effettiva Ie, che può essere considerata come sovrapposizione di due onde componenti denominate rispettivamente onda di corrente diretta Id (che, al pari della Ie, viaggia dal trasmettitore verso l'antenna) ed onda di corrente riflessa Ir (che viaggia dall'antenna verso il trasmettitore). Pertanto, in ogni punto della linea, si ha che Ie= Id+Ir (di nuovo si tratta di una somma vettoriale).

Considerare l'onda di tensione (e di corrente) effettiva come scissa in un onda diretta ed in un onda riflessa è solamente un modo alternativo (sebbene del tutto equivalente) di vedere le cose, che è frutto di un'astrazione mentale (nella realtà delle cose di tensione, come pure di corrente, ne esiste una sola, ovvero la Ve e la Ie). Peraltro detta scissione nelle componenti diretta (Vd ed Id) e riflessa (Vr ed Ir) presenta certi vantaggi nei riguardi della trattazione matematica e quindi della comprensione dei fenomeni.

E' importante rilevare come la Vd e la Vr mostrino un comportamento molto diverso da quello della Ve (stessa cosa vale per Id ed Ir nei confronti di Ie). Infatti si può osservare come per qualunque valore di ROS:

La Ve risulterà massima, e pari a Vd+Vr, nei punti della linea dove Vd e Vr risultino essere in fase tra loro. Risulterà invece minima, e pari a Vd-Vr, nei punti della linea dove Vd e Vr risultino essere in opposizione di fase (ovvero sfasate di 180 gradi). L'andamento sinusoidale della Ve mostrato nell'esempio di Figura 18 dipende proprio dal fatto che in certi tratti di linea Vd e Vr si sommano costruttivamente (fino a giungere al valore massimo di Vd+Vr), mentre in altri tratti distruttivamente (fino ad un valore minimo di Vd-Vr). Identico ragionamento per Ie che varia tra Id+Ir (Id in fase con Ir) e Id-Ir (Id in opposizione di fase con Ir).

Va peraltro rilevato come

Detti valori massimo e minimo di impedenza coincidono proprio con i due valori di R che, come visto al par. 3, risultavano associati al valore di ROS vigente sulla linea tramite le relazioni ROS= R/50 e ROS= 50/R.

In quanto sopra esposto risulta fondamentale il fatto che, come già detto, mentre Id è sempre ed ovunque in fase con Vd, Ir è sempre ed ovunque in opposizione di fase con Vr.

Vd, Vr, Id e Ir sono calcolabili utilizzando le seguenti relazioni (in formato Excel):

ove A1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm), B1 è la potenza media RF (in W) e C1 è il valore di ROS.

In chiusura, un'osservazione forse banale ma fondamentale. Le grandezze relative all'onda diretta ed a quella riflessa, ovvero Vd, Vr, Id, Ir, esistono (e sono quindi direttamente rilevabili) solo all'interno della linea. Al di fuori della linea esistono solo Ve e Ie

 

Degli esempi pratici

Tutto ciò detto, sembra ora opportuno proporre degli esempi riferiti a casi pratici. Consideriamo quindi un caso ipotetico nel quale viga sulla linea ROS= 3. I punti della linea in cui l'impedenza risulta essere puramente resistiva sono quelli in cui l'impedenza vale:

Le Figure 26 e 27 riportano Vd, Vr e Ve (in termini di ampiezze di picco Vd, Vr e Ve e di fase)  nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] e quindi lungo la linea a partire da quel punto, avendo assunto che la potenza RF applicata sia pari a 100W.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm11.gif

 Figura 26

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm12.gif

Figura 27

Alcune note:

Dai grafici di Figura 26 e Figura 27 si evince quanto segue:

·         la tensione diretta Vd (in rosso):

o    ha un'ampiezza di picco Vd di circa 115,5 V (Figura 26) ed è costante lungo la linea

o    ha fase che diminuisce linearmente con la distanza (Figura 27). Tale variazione è semplicemente indice del fatto che l’onda diretta si propaga con velocità costante dal trasmettitore verso l'antenna.

·         la tensione riflessa Vr (in verde):

o    ha un'ampiezza di picco Vr pari al prodotto della Vd per il coefficiente di riflessione, il quale è direttamente legato al vigente valore di ROS. Nel caso di impedenze puramente resistive, il coefficiente di riflessione è pari a (A1/B1-1)/(A1/B1+1), ove A1 è la resistenza dell’antenna (in ohm) e B1 è l’impedenza caratteristica della linea (in ohm). Per ROS= 1 il coefficiente di riflessione vale 0 e quindi Vr=0. Per l'esempio considerato con ROS=3 il coefficiente di riflessione vale 0,5 e quindi Vr= circa 57,7 V (Figura 26), valore che rimane costante lungo tutta la linea

o    ha fase che aumenta linearmente con la distanza dall'antenna (Figura 27). Tale variazione è semplicemente indice del fatto che l’onda riflessa si propaga con velocità costante dall'antenna verso il trasmettitore.

·         la tensione effettiva Ve (in blu) ha in ogni punto l'ampiezza e la fase che risultano dalla somma vettoriale di Vd e Vr:

o    l'ampiezza di picco Ve oscilla tra un valore massimo di circa 173,2 V ed un valore minimo di circa 57,7 V (vedi Figura 26).

o    la fase della Ve (Figura 27) assume un'inaspettato andamento sinuoso, derivante dal fatto che le fasi delle sue tensioni componenti, ovvero Vd e Vr, vanno divergendo quando ci si muova lungo la linea. Un tale andamento di Ve sembrerebbe indice del fatto che l'onda della Ve, invece di correre a velocità costante lungo la linea, in certi punti acceleri ed in altri rallenti. Va anche osservato come, in tutti i punti che si trovino a distanze multiple di quarti di lunghezza d'onda dal punto ad impedenza [R= 150 X= 0] la Ve rientri in fase con la Vd; ciò dipende dal fatto che, in tali punti, la differenza di fase tra Vd e Vr risulta essere multipla di 180 gradi, e che la somma tra Vd e Vr, come pure la loro differenza, ha quindi fase pari a quella di Vd.

Per gli interessati riporto in formato Excel le equazioni che definiscono l'andamento lungo la linea della Ve (sia l'ampiezza di picco Ve che la fase). Ciò in funzione della potenza RF applicata e delle impedenze.

·         Ve=

RADQ((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))^2+((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1)))^2 - 2* ((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))^2*COS(PI.GRECO()-RADIANTI(720*D1)))

·         fase di Ve (in gradi)=

-GRADI(ARCTAN.2(((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*COS(RADIANTI(360*D1))+(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*COS(RADIANTI(-360*D1)) );((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*SEN(RADIANTI(360*D1))+(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*SEN(RADIANTI(-360*D1)))))

ove A1 è l'impedenza (puramente resistiva) di carico (in ohm), B1 è l'impedenza caratteristica (puramente resistiva) della linea (in ohm), C1 è la potenza applicata (in W) e D1 è la distanza elettrica dal carico (in lunghezze d'onda).

Passiamo ora a considerare le correnti. Le Figure 28 e 29 riportano Id, Ir e Ie (in termini di ampiezze di picco Id, Ir e Ie e di fase)  nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] e quindi lungo la linea a partire da quel punto, avendo assunto che la potenza RF applicata sia pari a 100W.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm13.gif

Figura 28

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm14.gif

Figura 29

Alcune note:

Dai grafici di Figura 28 e Figura 29 si evince quanto segue:

·         la corrente diretta Id (in rosso):

o    ha un'ampiezza di picco Id pari a circa 2,3 A (Figura 28) che è costante lungo la linea.

o    ha fase che diminuisce linearmente con la distanza (Figura 29). Tale variazione è semplicemente indice del fatto che l’onda diretta si propaga con velocità costante dal trasmettitore verso l'antenna

·         la corrente riflessa Ir (in verde):

o    ha un'ampiezza di picco Ir pari al prodotto della Id per il coefficiente di riflessione che, per ROS= 3, ha (come già visto) il valore di 0,5. Quindi Ir= circa 1,2 A (Figura 28), valore che rimane costante lungo tutta la linea

o    ha fase che aumenta linearmente con la distanza dall'antenna (Figura 29). Tale variazione è semplicemente indice del fatto che l’onda riflessa si propaga con velocità costante dall'antenna verso il trasmettitore

·         la corrente effettiva Ie (in blu) ha in ogni punto l'ampiezza e la fase che risultano dalla somma vettoriale di Id ed Ir:

o    l'ampiezza di picco Ie oscilla (vedi Figura 28) tra un valore massimo di circa 3,5 A (nel punto in cui Id e Ir in sono in fase) ed un valore minimo di circa 1,2 A (nel punto in cui Id e Ir in sono in opposizione di fase)

o    la fase della Ie (Figura 29) assume un andamento sinuoso similare a quello della tensione (Figura 27), ma si può osservare come, muovendosi lungo la linea, la diminuzione di fase della Ie (Figura 29) risulti più veloce di quella della Ve (Figura 27). In definitiva, mentre nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] Ve ed Ie sono (come già visto) in fase tra loro, non appena ci si sposti dal punto ad impedenza [R= 150 X= 0] insorge una differenza di fase tra Ve ed Ie che è la responsabile della comparsa di una componente reattiva nell'impedenza

o    si osserva infine come il grafico della Ie (Figura 28) risulti similare a quello della Ve (in Figura 26), ma spostato di un quarto d’onda a sinistra (lo stesso vale per le fasi).

Va rilevato come, qualora le Figure 26, 27, 28 e 29 fossero state prodotte per un'impedenza di partenza di [R= 16,66 X= 0] (invece di [R= 150 X= 0]), si sarebbero ottenuti grafici similari ma invertiti, nel senso che i grafici delle tensioni coinciderebbero con quelli delle correnti e viceversa (a parte ovviamente le scale).

 

Una verifica di coerenza.

Chiariti ormai quali siano gli andamenti di tensione e corrente sulla linea, a questo punto è d’obbligo una verifica di coerenza tra i vari risultati ottenuti.

Poniamoci allora ad una determinata distanza dal punto in cui l'impedenza vale [R= 150 X= 0], e verifichiamo come lo sfasamento che si registra tra Ve ed Ie in quel punto (Figure 27 e 29) sia in linea con l’impedenza che si è calcolato sussistere nello stesso punto (Figura 1).

A tal proposito, supponiamo ipoteticamente di porci ad una distanza elettrica di 0,0625 lunghezze d’onda (che corrisponde ad uno spostamento di fase pari a 22.5 gradi). In quel punto otteniamo i seguenti valori:

·                    Ie ha fase di -51,18 gradi (come risulta dal grafico di Figura 29).

Ie si trova quindi in anticipo rispetto a Ve di 51,18-7,86=43,32 gradi.

Peraltro:

·                    R= 69,07 ohm (come risulta dal grafico di Figura 1)

·                    X= -65,12 ohm (come risulta dallo stesso grafico di Figura 1).

da cui si può facilmente calcolare come Ie si trovi in anticipo rispetto a Ve proprio di 43.32 gradi.

La matematica non è un opinione!

 

Parliamo ora di potenze

Al momento di caratterizzare gli andamenti di tensione e corrente lungo la linea, si è prima visto come l'onda di tensione effettiva Ve possa essere vista come sovrapposizione di un onda di tensione diretta Vd ed un onda di tensione riflessa Vr. Stessa cosa vale per le correnti (Ie, Id ed Ir).

Lo stesso tipo di modellizzazione vale per la potenza, potendosi quindi parlare di potenza media Pm, di potenza diretta Pd e di potenza riflessa Pr. Per meglio comprendere questi concetti, converrà dapprima considerare il semplice esempio di Figura 30 che mostra un generatore di tensione continua da 100 V, con resistenza interna di 50 ohm e caricato su un carico R.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\gen.gif

Figura 30

Esistono due modi di caratterizzare il trasferimento di potenza dal generatore al carico.

Secondo il metodo classico, si dice semplicemente che il generatore trasferisce al carico una potenza Pm il cui valore dipende da R. E' facile calcolare che, se R= 50 ohm, allora Pm risulta essere pari a 50 W.

Un metodo diverso, sebbene del tutto equivalente a quello classico, è quello di introdurre, oltre al concetto di potenza media Pm (che è la potenza effettivamente trasferita dal generatore sul carico in funzione del valore di R), anche il concetto di "potenza diretta" Pd che è il valore massimo di potenza che il generatore è in grado trasferibile al carico, ovvero il valore che si registra quando R abbia lo stesso sia uguale alla resistenza interna del generatore, ovvero 50 ohm nell'esempio considerato (carico "adattato", teorema del massimo trasferimento di potenza). Nel nostro esempio si ha Pd= 50 W.

Pertanto se R= 50 ohm, Pm= Pd. Altrimenti in generale Pm< Pd.

Supponiamo ora di utilizzare un carico la cui R valga il doppio o la metà del carico adattato (ovvero di 50 ohm). In entrambi i casi (cioè R= 100 ohm o R= 25 ohm) si avrebbe Pm= 44.4W, un valore che risulta variato di -5.6W rispetto al caso del carico adattato. Se ora chiamiamo "potenza riflessa" Pr l'entità di detta variazione, risulta che Pm= Pd+Pr.

Stessa cosa se si supponesse che R valga il triplo od un terzo del carico adattato. Si avrebbe allora Pm= 37.5 W e quindi Pr= -12.5W.

In conclusione si tratta di un modo alternativo, anche se del tutto equivalente, di descrivere la realtà: invece di dire semplicemente che il generatore trasferisce la potenza Pm al carico, si dice:

Il fatto che risulti negativa Pr è coerente con il fatto che essa fluisce dal carico verso il generatore.

Quanto sopra detto si applica chiaramente anche al caso in cui il generatore sia un trasmettitore (che qui supponiamo poter erogare al massimo 50W) ed il carico sia ad esempio un'antenna, che per il momento supponiamo connessa direttamente al trasmettitore, ovvero senza il tramite di una linea di trasmissione.

In tal caso, in presenza di un carico non adattato, può capitare di leggere sul wattmetro un valore di Pd superiore alla potenza che il trasmettitore è in grado di erogare, fatto che sembrerebbe in contrasto con la definizione di Pd sopra data..

Per spiegare questo fatto, supponiamo che il valore del carico (non adattato) sia tale da provocare una Pr pari al 10% della Pd. Ci attenderemmo allora di leggere al massimo Pd= 50W e Pr= 5W, il che significherebbe che Pm= 45W e che quindi il trasmettitore sta erogando una potenza inferiore alla quella massima.

Se però il trasmettitore dispone di accordatore o di circuito pi-greco, sarà allora possibile far comunque vedere al trasmettitore un carico adattato e fargli così erogare l'intera potenza di 50W (invece che 45W). In tali condizioni il wattmetro, che si trova interposto tra l'accordatore e carico e che è calibrato su un'impedenza di riferimento di 50 ohm, vedrà un carico disadattato su cui si riversano tutti i 50W erogati dal trasmettitore. In tali condizioni il wattmetro non potrà che indicare Pd= 55.55W e Pr= 5.55W, così che Pm risulti correttamente esser pari a 50W.

Passando ora ad applicare quanto sopra detto al caso di un trasmettitore ed un'antenna connessi tra di loro da una linea di trasmissione, le equazioni che legano le potenze presenti sulla linea, ovvero Pd e Pr, ai relativi valori di Vd e Id sono:

Per quanto riguarda l'onda diretta, si era già visto come in ogni punto della linea Id risulti essere in fase con Vd (a1= 0), e ciò rende il fattore coseno sempre uguale ad 1. Pertanto Pd è una grandezza costante e positiva che vale Pd= 0.5*Vd*Id. Essa fluisce quindi dal trasmettitore verso l'antenna.

Stesso ragionamento vale per l'onda riflessa, ma si era già visto come Ir risulti essere sempre in opposizione di fase con Vr (a2= 180). Pertanto il fattore coseno vale sempre -1 e Pr risulta quindi una grandezza costante e negativa che vale Pr= -0.5*Vr*Ir. Essa fluisce quindi dall'antenna verso il trasmettitore.

Il fatto che tra Pm, Pd e Pr sussista la relazione Pm= Pd+Pr sembra quasi essere un'ovvietà, parendo scontato il fatto che, se in un punto del circuito confluiscono due potenze, la potenza complessiva è pari alla somma delle due. In realtà, pur se nel caso della linee di trasmissione la relazione Pm= Pd+Pr risulti effettivamente corretta, ciò non è vero in generale. Si tratta di una questione importante su cui vale la pena di spendere qualche parola.

A tal riguardo consideriamo il semplice circuito mostrato in Figura 31, comprendente due generatori di tensione continua, tre resistenze e due interruttori.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\power.gif

Figura 31

Per quanto riguarda la tensione:

Pertanto la tensione prodotta dai due generatori sul carico, quando operino in maniera concomitante, risulta essere pari alla somma delle tensioni prodotte individualmente sul carico da ciascun generatore. Infatti 50 + (-50) = 0.

Stessa relazione non vale però per la Pm, infatti:

Chiaramente 50 + 50, valendo 100, non è pari a 0. Quindi sarebbe incorretto effettuare la semplice somma delle potenze trasferite dai singoli generatori.

Questo risultato, relativo ad un esempio in corrente continua, è in linea con regola generale di calcolo della Pm complessivamente trasferita su un carico da più generatori, ad una qualunque frequenza.

Al fine di calcolare detta Pm complessiva, le Pm che ciascun generatore individualmente trasferisce:

Tornando ora alle linee di trasmissione, sorge spontaneo chiedersi il perchè, nonostante l'onda diretta e l'onda riflessa hanno entrambi la stessa frequenza, sia comunque possibile calcolare direttamente Pm come somma di Pd e Pr, invece di dover prima sommare tra loro Vd e Vr, ottenendo così Ve e quindi Pm.

La risposta immediata sta nel fatto che:

Per dimostrare come, per le linee di trasmissione, sia corretto utilizzare la relazione Pm= Pd+Pr, nonostante l'onda diretta e l'onda riflessa abbiano la stessa frequenza, seguiamo la corretta procedura di calcolo determinando dapprima, nel punto considerato della linea, la tensione totale Ve (come somma di Vd e Vr) e la corrente totale Ie (come somma di Id e Ir), e quindi calcolando la potenza media Pm tramite la già vista relazione (in Excel):

ove stavolta A1 è pari a Ve (in V), B1 è pari ad Ie (in A) e C1 è pari allo sfasamento relativo (in gradi) tra Ve ed Ie (tutte i valori sono relativi al punto di linea considerato).

Nonostante Ve ed Ie varino con il particolare punto della linea considerato, le loro variazioni saranno tali che la formula sopra riportata dia comunque lo stesso risultato in qualunque punto della linea, in quanto Pm, come prima detto, è ovunque la stessa.

Essendo anche Pd e Pr delle grandezze costanti, la relazione tra Pm, Pd e Pr deve essere la stessa in qualsiasi punto della linea, e può essere quindi determinata in un punto della linea a piacere. Allora, per semplicità, sceglieremo un punto ove:

Per quanto riguarda C1, dato che:

risulta immediatamente come l'angolo tra la tensione Ve e la corrente Ie sia pari a zero, e quindi come cos(C1)= 1.

In definitiva la relazione tra Pm, Pd e Pr è la seguente:

Pm=  0.5*(Vd+Vr)*(Id-Ir)= 0.5*(Vd+Vr)*(Vd/50-Vr/50)= (Vd^2)/100 +(Vr^2)/100=  Pd+Pr

 

 

APPENDICE 2

La Figura 1 fornisce un esempio di come varino le componenti resistiva (R) e reattiva (X) dell'impedenza quando ci si muova lungo la linea nel caso in cui l’antenna non sia adattata (ovvero abbia impedenza diversa da [R= 50 X= 0]). In quest'Appendice si desidera illustrare degli aspetti che dovrebbero facilitare la comprensione di tale comportamento.

Al solo fine di fornire delle indicazioni quantitative, e senza perdita di generalità, faremo quì riferimento ad una discesa d'antenna realizzata in cavo RG-58, che può essere considerata come costituita da tanti pezzetti di cavo RG-58 lunghi ciascuno 10 cm e posti uno di seguito all'altro (ovvero in cascata). Tale situazione è mostrata in Figura 32, ove i pezzetti di cavo da 10 cm vengono visualizzati come tanti "vagoncini", il primo dei quali si suppone sia connesso ad un'antenna adattata, ovvero con impedenza [R= 50 X= 0].

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm41.gif

Figura 32

Supponendo ipoteticamente che il cavo considerato non abbia perdite e non presenti quindi attenuazione alcuna, ciascun vagoncino può considerarsi costituito da una cella a pi-greco (vedi Figura 32) che comprende due condensatori e un’induttanza. Per determinare, nel caso in esame, il valore dei componenti di tale modello elettrico del vagoncino si procede così:

ove Zo è l’impedenza caratteristica del cavo (in ohm), A1 è pari al valore di induttanza del vagoncino (in uH) e B1 è pari al valore di ciascun condensatore del vagoncino (in pF).

Dopo aver determinato che l'induttanza deve valere 0,02399806 uH, è facile determinare, utilizzando le normali formule dei circuiti a pi-greco, che se un qualsiasi vagoncino viene terminato su [R= 50 X= 0] esso presenta lo stesso valore di impedenza al vagoncino successivo (come mostrato in Figura 32). Di conseguenza il trasmettitore, che è posto all'altra estremità del cavo, vedrà anch’esso [R= 50 X= 0].

Vediamo ora cosa avviene se l’antenna sia invece non adattata, supponendo - a titolo di esempio - che la sua impedenza valga [R= 150 X= 0], quindi con  ROS= 3. Tale valore è stato appositamente scelto per poter prontamente paragonare il comportamento del modello elettrico a pi-greco con il comportamento reale (visualizzato in Figura 1, che è appunto relativa al caso di impedenza pari a [R= 150 X= 0]).

Sono stati quindi calcolati, di nuovo utilizzando le normali formule dei circuiti a pi-greco, i valori di impedenza visti da ciascun vagoncino da 10 cm, valori che - in questo caso -  risultano avere anche una componente reattiva X (vedi Figura 33).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm42.gif

Figura 33

A questo punto è possibile paragonare i valori di impedenza visti da ciascun vagoncino con quelli che risulterebbero applicando invece le formule teoriche delle linee di trasmissione, diagrammati in Figura 1. Le Figure 34 e 35 mostrano come varino rispettivamente resistenza e reattanza lungo la linea, sia secondo il modello a vagoncini di tipo pi-greco che secondo le formule teoriche. In particolare dette figure rappresentano gli andamenti lungo i primi 110 cm di cavo (11  vagoncini da 10 cm) a partire dall'antenna, nel caso in cui la frequenza di lavoro sia 100 MHz. Per tale valore di frequenza, la mezza lunghezza d’onda si raggiunge a 98,85 cm dall’antenna (avendo tenuto in conto un fattore di velocità del cavo pari a 0,659).

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm43.gif

Figura 34

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\swrm44.gif

Figura 35

Esaminando i grafici si conferma come, nel caso delle formule teoriche (curve rosse), l'impedenza che viene vista a mezza lunghezza d'onda (ovvero a 98,85 cm di distanza dall'antenna) sia identica a quella dell'antenna stessa (sia la R che la X).

Nel caso del modello a celle di tipo pi-greco sussiste invece un leggerissimo scostamento a destra, dovuto ai seguenti fattori concomitanti:

In definitiva si può certamente asserire come il modello a pi-greco qui considerato ben rappresenti la realtà delle cose.

Tutto quanto detto è basato sull’ipotetica supposizione che il cavo non presenti alcuna attenuazione. Vediamo allora cosa accade nel caso reale, ovvero quello in cui il cavo abbia invece delle perdite, ponendo nostra attenzione sull'impedenza caratteristica.

In questo caso la cella di tipo pi-greco si modifica come mostrato in Figura 36, nella quale ora non facciamo più riferimento ad una determinata lunghezza (10 cm) del particolare cavo RG-58, bensì ad una cella di lunghezza infinitesimale di un cavo generico.

Descrizione: Descrizione: C:\HomePage\cella.gif

Figura 36

Si notano le seguenti differenze:

Con riferimento al modello di Figura 35, l’impedenza caratteristica del cavo Zo= Ro + Xo (in ohm) è esprimibile (in formato Excel):

ove A1 è la reattanza (senza segno) di C alla frequenza di lavoro (in ohm), B1 è la reattanza di L alla frequenza di lavoro (in ohm), C1 è la resistenza di Rs  (in ohm) e D1 è la conduttanza di Rp (in Siemens).

Giocando con le formule, è possibile stabilire quanto segue:

 

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